mercoledì 23 maggio 2012

Saviano in "Quello che non ho" mi ha ricordato un regalo che mi fece Livio tanti anni fa. Un libro di Danilo Dolci "Gente Semplice".
Da li ho iniziato a conoscere Dolci, e anche a me, come a Saviano, mi colpi il discorso che fece Piero Calamandrei nel processo in difesa di Dolci perche' accusato di occupazione di suolo pubblico (una sorta di occupy). Dolci con dei disoccupati decisero di fare una singolare protesta, ricostruire volontariamente una strada pubblica.
Con questo discorso Piero Calamendrei ha scritto una delle piu' lucide e tutt'ora irrealizzate promesse mai mantenute della polica.



"Signori Giudici, che cosa vuol dire libertà, che cosa vuol dire democrazia? Vuol dire prima di tutto
fiducia del popolo nelle sue leggi: che il popolo senta le leggi dello Stato come le sue leggi, come
scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall'alto. Affinché la legalità discenda dai codici
nel costume, bisogna che le leggi vengano dal di dentro non dal di fuori: le leggi che il popolo
rispetta, perché esso stesso le ha volute così.

Ricordate le parole immortali di Socrate nel carcere di Atene? Parla delle leggi come di persone
vive, come di persone di conoscenza. "le nostre leggi, sono le nostre leggi che parlano". Perché le
leggi della città possano parlare alle nostre coscienze, bisogna che siano come quelle di Socrate, le "
nostre " leggi.

Nelle più perfette democrazie europee, in Inghilterra, in Svizzera, in Scandinavia, il popolo rispetta
le leggi perché ne è partecipe e fiero; ogni cittadino le osserva perché sa che tutti le osservano: non
c'è una doppia interpretazione della legge, una per i ricchi e una per i poveri!

Ma questa è, appunto, la maledizione secolare che grava sull'Italia: il popolo non ha fiducia nelle
leggi perché non è convinto che queste siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato con un nemico.
Lo Stato rappresenta agli occhi della povera gente la dominazione. Può cambiare il signore che
domina, ma la signoria resta: dello straniero, della nobiltà, dei grandi capitalisti, della burocrazia.
Finora lo Stato non è mai apparso alla povera gente come lo Stato del popolo.

Da secoli i poveri hanno il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi: hanno della
legalità e della giustizia un'idea terrificante, come di un mostruoso meccanismo ostile fatto per
schiacciarli, come di un labirinto di tranelli burocratici predisposti per gabbare il povero e per
soffocare sotto le carte incomprensibili tutti i suoi giusti reclami."

serie: democraziaAperta