sabato 3 agosto 2019

Stiamo viaggiando da Vardzia a Kutaisi in Georgia, Giovanni ad un certo punto se ne esce con una delle sue osservazioni di tipo antropologico. Lui è famoso in famiglia per le sue doti di osservatore, già da piccolo in India aveva dato prova di queste capacità (link), Giovanni dice “questi georgiani ci assomigliano”. Così gli spiego che noi siamo di razza caucasica. L’Homos Sapiens nella sua prima emigrazione dall’Africa all’Europa (poi ce ne sono state altre, e per buona pace di chi non vuole i migranti ce ne saranno ancora) è passato da qui, dal Caucaso, ha perso qualche pelo, è diventato un può più bianco e ha cambiato le dimensioni del corpo. In pratica nel Caucaso ha fondato la razza di cui noi poi vantiamo una superiorità che non tiene conto delle origini. Giovanni mi interrompe, lui non intendeva dal punto di vista “antropologico”, ma per come guidano. Abbiamo infatti appena evitato un frontale con un Ford transit che pretendeva di superare una macchina che stava superando un camion in prossimità di una curva su una strada dissestata.
Scampato il pericolo, dopo un po’ si fa l’abitudine, posso tornare alle mie elucubrazioni mentali. 
Il Caucaso ha due possibili interpretazioni, o è una piccola area tra l’Europa e l’Asia, oppure una grande frontiera. Una delle ultime frontiere del mondo globalizzato in cui viviamo.
Una sera a Gori, città natale di Stalin, ho un’interessante discussione, meglio lezione, con una impiegata del ministero dei beni culturali italiani venuta a fare un viaggio in Georgia. 
Come nei Balcani, il dissolversi prima dell’impero ottomano e del dominio sovietico dopo hanno creato nel Caucaso una realtà fatta di interessi particolari, identità circoscritte, lingue diverse. Secondo l’impiegata del ministero più che una frontiera è una cerniera. Mi spiega che ogni elemento di questa diversità è come se fosse un dente della cerniera. Se i denti si incastrano bene, la cerniera si può chiudere ed aprire senza problemi, ma se solo uno dei suoi denti s’inceppa allora la cerniera s’inceppa ed iniziano i problemi. A me sembra una metafora molto affascinante anche se teorica, speriamo che il futuro non mi riservi sorprese.
Ai facinorosi sostenitori della sovranità degli Stati Europei (i cosiddetti “sovranisti”) consiglio di passare da queste parti per capire le conquiste che in 60 anni di storia, l'Unione Europea ci ha consegnato e che noi, ingiustamente, consideriamo troppo spesso scontate.
In realtà da questo viaggio mi porto a casa una domanda e una possibile scoperta che mi piacerebbe capire meglio.
In questo mese mi sono chiesto il senso della presenza di così tanti monasteri cristiani in un’area di confine, ma che bisogno c’era di costruire un monastero in ogni valle, e cocuzzolo?
Immagino lo stupore delle orde di barbari che dall’Asia arrivavano al galoppo dei loro cavalli, assetati di sangue e distruzione, e trovavano monaci intenti a curare orti, confezionare medicine, e pregare. I monaci sfamavano i barbari, li ascoltavano, e placavano la loro fame di distruzione, addirittura alcuni venivano convertiti. Gregorio l’Illuminatore riuscì a convertire il terribile Tiridate e creare il primo regno Cristiano della storia in Armenia.
Forse e’ nei monasteri che vanno cercate le radici dell’Europa, forse i monaci con il loro esempio ci possono aiutare a far fronte ai nuovi barbari, questi non arrivano più dall’Asia e tanto meno dall’Africa ma dai social.