domenica 21 luglio 2019

Il treno da Baku per Tbilisi parte alle 20:40 dalla stazione centrale tutte le sere e dovrebbe arrivare alle 08:30 del giorno dopo, 500 km in 12 ore, non propriamente un TGV, a noi faranno il regalo di prolungare il viaggio di circa 3 ore.
“La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento, e puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto”. 
Noi “ovviamente” prenderemo i biglietti di terza classe.
Ci assegnano posti sparsi nel secondo vagone, riesco a convincere alcune persone a scambiarci di posto così alla fine dormiremo tutti abbastanza vicino. 
Per ogni vagone ci sono due donnone che gestiscono i viaggiatori, ti rifilano le lenzuola, una salvietta e il cuscino in mano e ti spiegano a modo loro come fare i letti. Nessuna di loro parla inglese quindi ci capiamo in russo, praticamente a gesti. Nella loro ruvidità post-sovietica sono persino gentili, quando mi metto in fila per il bagno mi offrono un tè caldo e accennano ad un sorriso dicendo tra loro “italyanskiy”, e io sorseggiando il tè ripeto “italyanskiy”.
Il treno risale lento l’Azerbaijan, culla i nostri pensieri, fuori è buio ed è arrivato il momento di dormire. Giovanni, Giacomo e Viola sono eccitati all’idea.
Il mio letto è al secondo piano, è corto, dovrò dormire un po’ rannicchiato, quindi male. Poco più in là del mio letto c’è una comitiva di russi che sghignazza e beve vodka, mentre di fronte a me ci sono due ragazzi azeri che non la smettono di parlare, sotto poco più spostati una coppia sui sessant’anni che evidentemente hanno deciso di intavolare una delle loro consuete conversazioni da matrimonio consumato, ed infine vicino c’è una ragazza azera dalla pelle vellutata che sente musica techno a volume alto. Temo il peggio, oltre che dormire male sarò costretto a dormire poco, ma a salvarmi ci pensa uno dei due donnoni che con fare perentorio e deciso intima ai russi, ai giovani azeri e alla coppia consumata di smetterla di parlare e mettersi a dormire, tutti obbediscono senza esitare.
Il dormiveglia viene interrotto verso le 5:30 del mattino quando uno dei donnoni passa a svegliarci, mi dice qualcosa in azero doppiamente incomprensibile, per la lingua e l’ora, uno dei due ragazzi mi spiega che siamo al confine, dobbiamo scendere dal letto e metterci seduti con i passaporti in mano. L’attesa è lunghissima, le procedure, sia quelle azere che georgiane, sono complesse, così è un’occasione per conoscere le persone con cui stiamo viaggiando. Giacomo parlerà a lungo con uno dei due ragazzi azeri, io con l’altro, stanno andando a Tbilisi per fare un visto per l’Estonia, andranno a studiare a Tallinn. I due ragazzi traducono le domande della copia azera, sono curiosi di sapere se c’è piaciuta Baku, cosa pensiamo dell’Arzerbaijan. La ragazza dalla pelle vellutata vuole capire perché una famiglia decide di fare un viaggio in un treno di terza classe. Mentre si chiacchiera fuori il sole inizia a scaldare e dentro il vagone manca l’aria, provo ad aprire un finestrino ma un donnone passa a chiuderlo. Con la frontiera non si scherza. L’aria è pesante, così Giovanni vomita, lui soffre sempre queste situazioni, e l’odorino della terza classe si arricchisce di un nuovo ingrediente. Porto il sacchetto con il nuovo ingrediente dalle donnone cercando di spiegare la situazione ma mi indicano il mio posto. Dopo qualche minuto passa un ufficiale che mi dice “you can go out”, non si capisce se è per un problema con i visti, ma uno dei compagni di viaggio mi spiega che è per prendere finalmente aria.
Arriveremo a Tbilisi alle 11:00, stanchi, meglio esausti, ma contenti sia per il viaggio sia perché siamo a casa, a Tbilisi abbiamo un appartamento carino che ci aspetta per riposarci, è la nostra base dove c’è una televisione con Netflix e potremo così spararci gli ultimi tre episodi della terza stagione di “Stranger Things”, la serie di famiglia.