In Armenia ci sono due tipi di santuari, spettacolari monasteri arroccati su colline o valli impervie, ed enormi fabbriche abbandonate di stampo sovietico, entrambi in modo diverso ricordano un sogno.
Arriviamo con la macchina a Sadakhlo sul confine tra Georgia ed Armenia di notte e mentre attraversiamo la frontiera accadono cose che mi ricordano la scena del fiorino in “Non ci resta che piangere”.
L’agente di dogana georgiano fa scendere Chiara e i ragazzi dalla macchina, loro devono attraversare la frontiera a piedi attraverso un apposito tunnel, io con la macchina. Quando arrivo al posto di controllo armeno il poliziotto guarda l’assicurazione della macchina e scuote la testa, secondo lui non va bene, devo tornare indietro, cerco di capire cosa non va bene, ma lui scuote la testa. Dopo alcuni minuti di inutile discussione mi rendo conto che ho un problema logistico, dato che ci hanno separato, Chiara, Viola, Giacomo e Giovanni sono in Armenia, io in Georgia. Cerco di spiegare all'ufficiale la situazione paradossale in cui mi trovo, lui mi guarda sconsolato, mi chiede nuovamente i documenti della macchina e sparisce. Quelli in coda dopo di me sono furibondi, dopo circa 5 minuti il poliziotto ricompare e mi chiede cosa sono andato a fare in Azerbaijan, la situazione si sta facendo complicata, gli dico turismo, sparisce di nuovo e quando ritorna timbra il passaporto e mi dice di passare, ma devo andare in un ufficio che mi indica per regolarizzare i documenti della macchina. Raggiungo Chiara e i ragazzi e andiamo all’ufficio indicato, mentre aspettiamo il nostro turno chiedo dove posso prelevare dram (la moneta armena), mi indicano l’unico ATM nell’amena frontiera, inspiegabilmente è prima del controllo passaporti. Così ritorno dal mio amico poliziotto che quando mi vede alza gli occhi al cielo, non ci può credere di avermi ancora tra le p … procedure, per paura di dover complicare la sua esistenza all’infinito mi dice di lasciargli il passaporto e di andare a prelevare.
Sbrigate le formalità burocratiche andremo a dormire nell’unico albergo al confine. Entriamo nell’albergo buio e isolato, non c’è nessuno, bussiamo ad una porta e si affaccia un ospite armeno che non parla inglese, ma gentilmente chiama il gestore dell’albergo al telefono. Prenderemo due stanze per la modica cifra di 20.000 dram, che detta così sembra un capitale, in realtà sono meno di 40 euro.
Il giorno dopo riprendiamo il viaggio verso il lago Sevan. La strada che percorreremo è dissestata a causa di frane e lavori in corso. Le buche e lo sterrato faranno si che per percorrere 50 km ci impiegheremo un giorno.
Lungo la strada uno dei primi luoghi che visitiamo è Akthala, una bellissima chiesa affrescata isolata in una valle austera. Arriviamo per una strada sterrata, la chiesa è chiusa, mentre approcciamo il cancello ci viene incontro un vecchietto con cappello e chiavi, ed apre per noi. Lui non parla inglese, noi nè armeno nè russo, quindi ci intendiamo a gesti. Mentre attraversiamo il giardino per raggiungere la chiesa, sulla collina di fronte svetta un imponente edificio di indubbia fattura sovietica, il vecchietto lo guarda sorridendo e dice “fabbrica”.
La presenza russa in Armenia si fa sentire.
A parte il tratto iniziale le strade saranno decenti, il lago Sevan, il passo Selim e i canyon vicino al monastero di Noravank sono meravigliosi, Yerevan no, Yerevan è anonima, ma verremo colpiti dal memoriale del genocidio armeno. Una tragedia poco nota in Europa ma che rende questo Paese, incuneato tra Turchia ed Azerbaijan, un pezzo di mondo su cui varrebbe spendere tempo.
Faremo indigestione di monasteri, uno più bello dell’altro, simili tra loro ma diversi, anche se le strade deserte percorse al tramonto sono forse il ricordo più intenso di questo Paese incuneato tra Turchia e Azerbaijan.