La settimana prima di venire in Georgia ci sono stati scontri tra polizia e manifestanti con numerosi feriti davanti al parlamento. Durante il nostro soggiorno in questo Paese proverò a capire la ragione chiacchierando con le persone che conosceremo, ma sarà a casa di Gocha che finalmente riuscirò a mettere insieme i tasselli di un mosaico complesso.
Gocha lo conosciamo dopo un viaggio in macchina durato un giorno da Yerevan (Armenia) a Vardzia (Georgia). I chilometri non sono molti, circa 200, e nemmeno il tempo che dovremo spendere in frontiera, ma le buche, la strada sterrata, e dover evitare frontali con i pazzi automobilisti georgiani renderanno questo percorso lungo, faticoso.
A Vardzia siamo venuti per visitare la città scavata nella roccia, ma prima dobbiamo trovare da dormire. Chiara conoscerà Gocha davanti l’ingresso del sito archeologico. Gocha dipingerà casa sua come “super”, con cibo “super” cucinato dalla sua mogliettina, un donnone piuttosto consumato dalla vita. Le camere saranno abbastanza hard, e il cibo decente, ma sarà decisamente un’esperienza particolare stare da loro. Durante la cena conosceremo la sorella tramite Skype, lei è a Roma a fare la badante, berremo del pessimo vino dal corno di mucca, sfoglieremo l’album di fotografie di quando lui prestò servizio militare nell’armata russa in Ungheria, ma soprattutto mi farà bere chacha, grappa, come se fosse acqua. Giacomo e Giovanni mi prendono ancora in giro ripetendo di tanto in tanto quello che Gocha ad intervalli regolari ripeteva durante la cena: “Lucas chacha”, e via con un altro bicchierino.
La ragione dei duri scontri di Tbilisi è lagata al fatto che un parlamentare russo è stato inviato dal governo georgiano a fare un discorso nel parlamento sulla collaborazione tra i due paesi riguardo alla reciproca appartenenza alla chiesa ortodossa. I georgiani temono i russi soprattutto dopo che nel 2008 i russi si sono annessi due regioni Abkhazia e Ossezia. Temono di fare la fine della Crimea.
Io la questione del Caucaso l’ho inquadrata così: l’Armenia è un Paese con una forte presenza cristiana, quella della chiesa apostolica armena, protetto dalla Russia ortodossa. La Georgia, ortodossa, teme la Russia, ortodossa, e sogna l’America che di cristiano ha ormai ben poco, mentre l’Azerbaijan che ha perso buona parte del Nagorno Karabakh perché l’Armenia è stata aiutata dalla Russia, ha buone relazioni commerciali con la Russia, e teme l’Iran con il quale condivide la religione.
Se non altro il sovrapporsi in modo incongruente delle diverse religioni rispetto agli interessi di questi Paesi dimostra ancora una volta che le religioni non possono essere considerate causa delle tensioni ma semmai pretesto. Le cause dei rapporti difficili tra gli Stati che confinano o costituiscono il Caucaso sono da ricercare non nelle diverse religioni, ma precisamente nei condotti petroliferi che dall’Azerbaijan si diramano in Georgia e Turchia.
Nel Caucaso ci sono due assi perpendicolari che si incrociano in Georgia. Da est a ovest c’è il primo asse costituito da Azerbaijan, Georgia e Turchia. Da nord a sud c’è il secondo asse costituito da Russia, Armenia ed Iran. Alla Russia manca un tassello per completare l’asse verticale, la Georgia appunto.
La Georgia per noi è stato il passaggio obbligato per visitare il Caucaso, dall’Arzerbijan non si passa in Armenia direttamente ma tramite la Georgia. Tbilisi, l’appartamento carino che abbiamo affittato in centro, è stato lo snodo e il rifugio di questo viaggio.
Comunque, al netto della questione geopolitica legata a questo Paese che mi divertirò a cercare di capire, del vino, dei monasteri, e degli insediamenti preistorici che ci dicono quanto noi europei siamo un prodotto di questo mondo, come ci aveva raccontato l’ambasciatore azero in Polonia (link) alla fine il senso dell’essere venuti fino a qui sta nelle montagne (link).