martedì 15 luglio 2014

La scena è questa.
Fa caldo, meglio si gronda di sudore a stare fermi. Dopo aver visitato il city palace di Udaipur siamo seduti per decidere cosa fare.
Udaipur è una cittadina molto bella. Palazzi da mille e una notte affacciati sul un bel lago circondato da montagne.
Noi siamo seduti su un muretto vicino alla statua di Udai Singh ll, uno dei maharaja più celebrati della dinastia dei Rajput, quella che ha governato il Rajasthan per millenni.
Stiamo discutendo da qualche minuto, quando improvvisamente veniamo circondati da una moltitudine di famiglie indiane in visita anche loro al city palace.

Io e Chiara ci guardiamo non sappiamo cosa fare, i bambini ci guardano.
Dopo qualche istante d'imbarazzo, una ragazza si avvicina chiedendoci se può fare una foto con noi. Io e Chiara ci riguardiamo, ci sembra strano, ma acconsentiamo.
Non l'avessimo mai fatto, passiamo la mezz'ora successiva a fare foto praticamente in tutte le posizioni.
A Viola chiedono di fare foto con i bambini piccoli in braccio, a Giacomo e Giovanni mentre abbracciano dei loro coetanei, Chiara insieme a donne vestite con eleganti sari, ed io che stringo la mano a uomini baffuti.
Era successo altre volte che gli indiani ci fermassero per strada a fare delle foto, ma quella del city palace di Udaipur è stata una situazione veramente assurda.
Ad un certo punto, temendo che questa scena non abbia fine, namastando tutti, indosso lo zaino e mi allontano.
Credo che fotografarci sia una delle tante manifestazioni del desiderio d'occidente che si percepisce in questa India.
Purtroppo credo che l'India così facendo abbia tradito il sogno di Gandhi. Quello di una nazione che fiera delle proprie tradizioni potesse dimostrare al mondo che un'altra idea di progresso è possibile.
Mentre ci allontaniamo mi volto e vedo che Udai Singh II mi guarda sconsolato, così estraggo la macchina fotografica e gli scatto una fotografia, non me la sentivo di lasciarlo senza che facesse almeno un goal.