domenica 19 novembre 2017

È incredibile come situazioni insignificanti, anzi potenzialmente noiose, possano insegnarci a guardare questo mondo e quello che sta succedendo in modo più consapevole.

Da un paio di mesi prendo il treno per andare al lavoro. I treni sono interessanti per studiare le nostre abitudini. Le persone tendono a prenderli sempre alla stessa ora, sedersi negli stessi posti, compiere insomma una serie di rituali che se osservati ci aiutano a capire chi siamo.
Tutte le mattine salgo nel mio scompartimento e usando distrattamente lo smarphone scruto.
Tra le persone che più mi hanno incuriosito c'è un maturo signore con una barba nera e bianca che veste quasi sempre felpe e jeans. L'aspetto ha aiutato ad attrarre la mia attenzione ma ancora di più le sue abitudini. Si siede finestrino lato oceano, tiene un libro appoggiato sulle gambe e legge meditando. Legge qualche riga e poi per diversi minuti guarda dal finestrino. Come dargli torto, il panorama sull'oceano la mattina è stupendo.
Con i giorni ho cercato di avvicinarmi il più possibile per cercare di capire cosa stesse leggendo.

Ho scoperto che legge suoi appunti.
So che non si fa, ma incuiosito ho sbirciato, e tra le cose appuntate, scritte in stampatello grande, c'era "IL PARADOSSO DELLA TOLLERANZA". La sera ho cercato su internet per capire cosa fosse questo paradosso.
Scriveva Karl Popper che "se una società è eccessivamente tollerante la sua capacità di essere tollerante sarà inevitabilmente distrutta dalle parti intolleranti", quindi concludeva che "in nome della tolleranza dovremmo proclamare il diritto di non tollerare gli intolleranti".
Da quando ho in testa questo paradosso mi chiedo chi siano gli intolleranti.
È evidente che se avessi preso la macchina per andare al lavoro sarebbe stato meglio, avrei speso il mio tempo ad ascoltare qualche demenziale trasmissione radiofonica, invece di pensare al paradosso della tolleranza.

Alcuni giorni fa mi sono deciso di conoscere l'autore dei miei pensieri, gli ho offerto un caffe a Cais do Sodrè, al capolinea del treno. In quella occasione ho confessato a Josè di averlo spiato, e gli ho chiesto perché meditasse il paradosso. 
Mi ha risposto che molti si limitano ad essere d'accordo oppure meno con questo paradosso, mi ha parlato per esempio di un filosofo, John Rawls, il quale sostenne che una società retta deve tollerare gli intolleranti, in caso contrario, la società stessa sarebbe intollerante, quindi ingiusta.
Ma lui ha un punto di vista differente. Il punto secondo Josè non è definire chi sono gli intolleranti ma cosa riteniamo essere intollerante.
Secondo Josè non ci porta lontano stabilire se non possiamo tollerare per esempio degli imam inneggianti la jahad, oppure i fanatici nazionalisti e populisti di questo tempo. Seppur entrambi minino la capacità della nostra società di essere tollerante, Josè sostiene che sia molto più importante definire cosa sia intollerabile invece di chi, chi rappresenterebbe una conseguenza. Josè è tra quelli per cui il valore fondante le società occidentali è la libertà d'espressione, esprimersi in modo violento mina i nostri valori.

La sera seduto davanti al camino guardo youtube e facebook prima di leggere qualche capitolo di un bel libro.
A parte l'imperdibile Crozza e qualche sketch di Aldo, Giacomo e Giovanni mi vengono proposti 
come un mantra video di gente che sostiene veemente discutibili verità (Sgarbi, Travaglio, Salvini, etc ...). 
Quindi spengo lo smartphone, metto qualche pezzo di legno e leggo. In questo periodo sto leggendo un reportage fotografico di una artista Polacca, Monika Bulaj, "Genti di Dio" (consiglio di chiedere l'amicizia su facebook). Lei ha viaggiato per anni in quella che risulta essere l'ultima riserva di biodiversità culturale dell'Europa, la fascia di terra che c'è tra i confini est dell'Unione Europea e la Russia, cioè Bielorussia, Ucraina, Moldavia. Un mondo dove cattolici, ortodossi, ebrei, mussulmani convivono insieme in freddi inverni ed afose estati. Monika Bulaj ha attraversato silenziosamente uno spazio di tolleranza, è stata capace di raccontare una storia di convivenza che rimarrà tale fino a che personaggi sostenenti dubbie verità e fomentatori di rabbia la trasformeranno in un'altra Sarajevo.