sabato 12 aprile 2014

Gli aeroporti, come noto, sono nonluoghi. Spazi anonimi dove le persone si sfiorano senza incontrarsi. Sono anche lo specchio di questa epoca.
In un sabato pomeriggio di un Aprile qualsiasi, l'aereoporto di Lisbona è un via vai di gente. Due ore dopo quello di Dublino è vuoto, ordinato, pulito. Quello di Abu Dabi, sei ore dopo, è pieno, incasinato e puzzolente. 16 ore dopo quello di Kathmandu non è un aereoporto, almeno come siamo abituati a pensare in occidente. 

 Di fianco alla pista dell'aeroporto di Dublino ci sono conigli rossi che corrono nel prato, i conigli rossi sono piaciuti tanto a Chiara.
A me gli aereoporti non dispiacciono, e quando sono costretto ad aspettare una coincidenza mi metto ad osservare le persone.
All'aeroporto di Dublino "ho visto cose che voi umani non potete immaginare".
Io non sono certo la persona più aggiornata sulle tecnologie che esista al mondo, ma un po' per dovere, e un po' per scelta, o forse sarebbe meglio dire non-scelta, con la tecnologia devo fare i conti. Quindi magari non l'ultimissimo gadget oppure il prossimo prodotto tecnologico, ma fino a questo incontro a Dublino pensavo di avere una buona idea di cosa offrisse il mercato. Costretto in uno di questi nonluoghi, gli aeroporti appunto, ho visto per le mani di una persona sui 50 anni, un oggetto che oserei definire rivoluzionario.
Funziona così, noi viaggiatori siamo tutti seduti, comodamente svaccati, sulle poltroncine in attesa dell'apertura dei gates. Chi non dorme beve, oppure ha in mano il mobile o il tablet, in alcuni casi entrambi. Inviare un whatsapp, scattare una foto, una email, guardare facebook, tweetter oppure scrivere il proprio diario di viaggio sono attività che ci tengono occupati, assorti.
Di fianco a me si siede un signore sui 50 anni, vestito bene, elegante in modo non convenzionale,  intendo senza indossare giacca e cravatta. Ordina una birra ed estrae dallo zaino gli occhiali, gli danno un'aria distinta senza sembrare altezzoso. Nel frattempo la birra è arrivata, paga e quando il cameriere fa per dargli il resto con un sorriso sincero dice che è per la mancia. Alza il calice di birra e ne beve un bel sorso, poi fruga nello zaino ed estrae l'oggetto a mio dire rivoluzionario.
La dimensione è quella di un tablet. Si accende solo fissandolo con gli occhi e parte in alcuni nano secondi, probabilmente monta nuovi processori. A giudicare da come lo tiene in mano non pesa più di qualche decina di grammi. Non ha tastiera, non ha mouse, in una certa misura non ha neanche uno schermo, funziona puntando gli occhi su quello che si desidera vedere.
Letteralmente meravigliato mi avvicino a Steve, ci presentiamo, per chiedergli come funziona. Sono incuriosito, viglio capire come Steve possa essere preso da un simile oggetto. Steve mi spiega che lavora sulla tua immaginazione, lasciando scorrere le parole o le immagini è capace di creare una realtà apparente, parallela a quella reale, e tu vieni catapultato in un altro mondo. Non è un oggetto multimediale, infatti lui lo definisce plurisensoriale, nel senso che lavora sulle tue emozioni.
Chiedo a Steve chi lo produce, e mi spiega che non c'è un solo produttore, ce ne sono tanti che producono diversi oggetti simili ed ognuno genera emozioni differenti, occorre saper scegliere che viaggio si ha voglia di fare.
Chiedo quindi a Steve il nome dell'oggetto, Steve mi dice che si chiama "book".
Abbiamo raggiunto nuovamente Namche, e poi Lukla. Il trekking sta per finire. Domani dovremo prendere il primo aereo per Kathmandu, quello delle 7:00. Gli altri voli, quelli successivi al primo, in questa stagione potrebbero venir cancellati, perché a metà mattina le condizioni meteo peggiorano, si alza un forte vento e diventa pericoloso decollare. Per uno che non ha paura di volare come me c'è da stare sereni :-(.
Sono seduto alla sera intorno alla stufa del lodge a Lukla. La stufa viene caricata con un secchio di sterco di yak fatto essicare. Finché lo sterco brucia si può stare intorno alla stufa, poi il freddo ci costringe ad andare a dormire. Pertanto, come al solito, scambio due parole con gli avventori, mentre leggo il libro che a fatica ho portato al campo base, e riordino gli appunti. Scorro le foto sul mio mobile, mi vengono in mente i suoni delle campane intorno al collo degli yak, i paesaggi con le montagne innevate, i profumi che ho annusato, le preghiere dei monaci tibetani.
Il Nepal, le sue montagne, l'Everest,  il Lhotse,  il Cho Oyu,... Una natura così forte, potente, importante da essere capace di togliere dal mondo, il mio mondo, quello percepito, la frenesia della "e" di ebook, e sostituirla con la "s" sterco di yak, ed essere contenti come bambini di vedere i conigli rossi all'aeroporto di Dublino.