sabato 11 marzo 2017

 La costa si vede appena.
Alle spalle il mondo che era, davanti il mondo che sarà. 
Scriveva l'Ernesto in Diario di un viaggio in motocicletta, che: "Un viaggio ha due estremi. Il punto in cui comincia e il punto dove finisce; se è tua intenzione far coincidere il secondo punto teorico con il reale non cercare scuse nei mezzi."
Per me la rotta è quella solita, e non potrebbe essere diversamente, ostinatamente confusa. Infatti se un giorno il punto in cui è iniziato il viaggio è uguale al punto in cui finirà non è per una questione di mezzi, ma di bussola, quella interiore intendo. Evidentemente mia mamma, quando sono nato, mi ha messo dentro una bussola "made in china".
In questi sei mesi abbiamo navigato lungo la costa e adesso è arrivato il momento di decidere se puntare la prua al largo o tornare.
Le vele hanno tenuto durante la bufera d'ottobre. Lo scafo sembra solido, non c'era acqua nelle sentine durante il mare grosso di gennaio. 
L'equipaggio è diviso, forse preoccupato, si sono create nuove amicizie, forti come altre radici.
Tornare significa ricominciare in un posto e con gente che non sarà più la stessa, andare significa tagliare completamente con quello che è stato, ed è stato bello.
Non è una questione filosofica, ma di vita reale. Da un lato ci sono le domeniche spese su una spiaggia della Costa di Caparica, dall'altro le slitte sulla rampa di fianco alla chiesa vicino a casa.
Cambiare, buttare il tavolo all'aria dopo un po', ha sempre rappresentato un modo per sopravvivere, per sentirmi vivo. Per far tacere quell'animale che ho dentro che ha bisogno di tanto in tanto di stimoli nuovi per essere felice. Lo so che la felicità quella vera, interiore non ha bisogno di droghe, neanche sotto la forma del cambiamento. Ma chi l'ha detto che un drogato non stia meglio in questo mondo di anestetizzati dalle comodità?
Cosi la decisione è presa. Tra stare e tornare abbiamo deciso di andare che vuol dire sia tornare che stare.