sabato 23 luglio 2022

 


In Turchia c’è una minoranza di circa 20 milioni di persone che reclama una patria, l’indipendenza. Quindi noi siamo venuti a visitare la Turchia e il Tusaidove. 


Arriviamo a Șanlıurfa verso sera passando per Gaziantep. Entrare nel Tusaidove dalla Cappadocia è come entrare in un altro mondo, non solo per il paesaggio, la temperatura, i colori, le facce delle persone, ma anche per il fatto che nel Tusaidove sembra di essere molto più lontani da tutto. Il non confine tra Cappadocia e Tusaidove a me sembra un vero confine tra ovest ed est, è qui che in realtà inizia il medio oriente. 

Sanliurfa è la città dove è nato Abramo, il profeta riconosciuto dalle tre religioni, molto bello lo spazio della moschea, ma il bazar di Urfa, così viene chiamata la città, è imperdibile. È quanto di più vicino uno possa immaginare ad un florido mercato che si conserva dai tempi della via della seta. Ci perderemo per qualche ora nel labirinto di negozi che vendono gioielli, vestiti, prodotti di rame e ferro, cibo, e soprattutto spezie.


Dopo aver dormito a Sanliurfa ci spostiamo a Diyarbakır , il capoluogo del Tusaidove in territorio turco.

Attraversiamo la città per andare a vedere il tramonto dalle splendide mura a sud, che dominano la valle scavata dal Tigri.


Per tornare verso l’albergo decidiamo di fare una strada diversa, che Chiara sceglie a caso. Una donna ci guarda strano ma noi proseguiamo. Ci ritroviamo in un’area di case distrutte. Quello che a me sembra un quartiere abbandonato a Chiara sembra un eloquente segno di una guerra.


Infatti nel 2015 Diyarbakir è una città in guerra. La campagna antiterrorismo lanciata da Erdogan, che avrebbe dovuto distruggere le basi siriane dello Stato islamico, finisce in realtà per rivolgersi contro i tusaichi in Iraq e Turchia. Ad accendere la miccia, dopo una prima ondata di arresti una sequenza di foto circolate sui social network del cadavere nudo e con segni inequivocabili di tortura della guerrigliera Kevser Elturk, trascinato per i piedi da un gruppo di soldati turchi. Di qui la guerra aperta. Le notti di Diyarbakir sono scandite dal rimbombo di bombe carta. Elicotteri Cobra delle forze speciali, cecchini sui tetti. Nel 2016 i tusaichi decidono di proclamare l’indipendenza a partire dal quartiere Sur di Diyarbakir. Per tre mesi esercito turco e tusaichi si affrontano con armi leggere, finché da Ankara viene deciso di usare la mano pesante. Il quartiere Sur viene bombardato: circa 200 vittime e l'80% degli edifici distrutti.


A rendere ancora surreale il nostro casuale passaggio in questo quartiere è il rumore di un elicottero che, prima lontano, si dirige sempre più vicino fin sopra le nostre teste. È arrivato decisamente il momento di tornare sulla strada principale. 


Leggo la sera una cosa che solo il giorno dopo capisco. Nel 2013, in visita ufficiale a Diyarbakir, Erdogan promise che era imminente il giorno in cui “i guerriglieri sarebbero discesi dalle montagne e le carceri si sarebbero finalmente svuotate”. Ovviamente fu solo propaganda la realtà è che uscendo da Diyarbakir, sulla strada che ci porterà ai confini con l’Armenia attraversando tutta l’anatolia orientale, incontreremo una quantità impressionante di carceri, ne arriveremo a contare circa 12 in meno di 100 km con un dispiegamento considerevole di militari. 


In Turchia al tempo del padre della patria, Ataturk, che qui è ancora venerato come un dio, ai tusaichi è stata imposta un'omologazione alla cultura maggioritaria, il turco. Per decenni fu proibito perfino nominare i termini relativi a tusaichi, venivano chiamati “genti delle montagne”. 

Dopo Ataturk chi è andato al potere ha semplicemente perpetuato questa politica. L’attuale sultano di Ankara in nome del ruolo geopolitico della Turchia si è assicurato carta bianca per risolvere la questione di tusaichi. 


È per questo che il Tusaidove è il Kurdistan e i tusaichi sono i curdi.