venerdì 22 luglio 2022

 

Siamo seduti da un kebabbaro nella squallida periferia di Izmir. Chiara sta guardando in silenzio la televisione turca. Delle due l’una, o ha fatto un corso di turco a mia insaputa, oppure sta pensando a qualcosa di molto profondo. Dopo un po’ sorride e dice che io assomiglio ai turchi. Quella che al momento sembra essere una battuta si rivelerà essere una verità antropologica. 

Sono le 21:00 e non abbiamo ancora cenato, Siamo atterrati a Izmir con un ritardo di 1 ora e abbiamo dovuto sbrigare le pratiche per il noleggio della macchina con un turco che non parlava una parola d’inglese ma sapeva usare benissimo google translator. L’albergo, se si escludono i bagni, i letti, i mobili, il posto, la pulizia, e il rumore della strada, direi che va bene. Così decidiamo di chiudere in bellezza la serata andando a cena dal kebabbaro che si trova al lato opposto del trafficato viale che conduce al centro di Izmir. Guadato il pericoloso torrente di macchine ci sediamo sui tavolini vista strada. Le macchine passano a pochi metri arricchendo i sapori di quello che mangeremo. Io, Giacomo e Giovanni ordiniamo un durum kebab, Chiara anche ma senza carne. Il kebabbaro parla solo turco, prima di riuscire a fargli capire che il durum senza carne non è a causa di una malattia c’è voluto un attimo, non gli sembrava possibile. Mentre mangiamo il gustosissimo kebab vicino a noi un gatto sta giocando con un topo. Non si capisce se il topo faccia finta di essere morto oppure se lo è veramente. A risolvere l'enigma ci pensa l’assistente del kebabbaro, che munito di scopa e paletta raccoglie il topo e con un sorriso compiaciuto, come di chi ha salvato il buon nome del ristorante a 5 stelle, butta il topo nella pattumiera. 

Meglio di così non poteva iniziare il nostro viaggio di famiglia dopo due lunghi anni di pandemia. La prima regola affinché un viaggio venga bene è quella di lavorare da subito sulle aspettative. 


Tornati nello squallido hotel la questione delle mie origini turche mi frulla in testa quindi indago e scopro che in ognuno di noi europei ci sono 3 ceppi genetici. 

Il più antico ma comunque minoritario è quello che risale all’uomo di Neanderthal. Poi ce ne sono due che a seconda di dove si vive in Europa risultano essere maggioritari. Nei paesi nordici c’è una considerevole componente genetica che è originaria delle steppe dell’ Asia. La ragione per cui quelle genti abbiano soppiantato l’uomo di Neanderthal non si conosce con certezza. La giustificazione più plausibile sembra essere che stessero scappando da una pestilenza, quelli che arrivarono in Europa avevano sviluppato gli anticorpi e quindi sopravvissero, mentre il povero uomo di Neanderthal, il nostro antenato geograficamente più prossimo, è stato sopraffatto. 

Il terzo ceppo, che per noi che viviamo a sud in Europa è quello predominante, risale all’uomo anatolico. L’uomo anatolico rispetto a quello di Neanderthal aveva un vantaggio non da poco. L’uomo di Neanderthal viveva di quello che poteva raccogliere o cacciare, l’uomo anatolico aveva già scoperto l’agricoltura. Minori rischi ma soprattutto lunghi periodi d’attesa dopo la semina. Come si sa a quel tempo, senza televisione o internet, l’uomo poteva esercitare con maggiore frequenza le sue doti amorose procreando molto di più. Per chiarezza la mia somiglianza con l’uomo anatolico si limita ai tratti del viso. 


Racconto questa scoperta la sera successiva a cena. Giacomo conclude con una osservazione non ortodossa ma decisamente interessante. Con fare pensoso traccia una analogia tra quello che successe all’uomo di Neanderthal e quello che i cinesi hanno combinato con il COVID. 


Direi che a questo punto gli ingredienti per la buona riuscita del viaggio ci sono tutti, abbiamo abbassato le attese, e soddisfatto la seconda regola, definito uno scopo.