giovedì 28 luglio 2022

 


C’è una strada diritta, diritta, che ogni tanto si perde in curve tortuose per superare una gola ma poi torna ad essere diritta. A destra e sinistra, in lontananza, si vedono le montagne. Nel mezzo campi, campi, campi, mucche, capre, pecore, cani e qualche pastore appoggiato su di un bastone e ancora campi. Ogni tanto delle case in pietra, degli accampamenti nomadi, e città. Le città sono brutte, fatte di palazzoni, ma si passano in fretta per poi tornare ad essere immersi in un paesaggio immenso, potente. L’Anatolia orientale la attraversiamo da sud a nord, dal Kurdistan turco al confine con l’Armenia. Il colore dei campi sarà prima marrone, poi giallo, infine verde chiaro e scuro. Partiremo dal deserto, passeremo per passi di alta montagna (2.300 mt), e arriveremo al tramonto ad Ani. 

Ad Ani passeggeremo tra i resti delle chiese soli. Ani è un posto suggestivo, estremo, le chiese in rovina si ergono isolate in un paesaggio dove non c’è niente, solo il vento, l’infinito e il ricordo di una gloria passata. Estrema è la storia di queste terre, attraversate da tutti, ma di cui nessuno sembra essersi preso cura. Le chiese ad Ani sono lasciate andare, c’è solo la moschea che è ben preservata. Le chiese hanno gli affreschi rovinati, le mura spesso diroccate. Al di là della collina sventola la bandiera Armena, che sembra guardare con rabbia e nostalgia quella che un tempo fu la sua capitale.


Lasciamo Ani che è buio e andiamo a cercare un posto per dormire e mangiare a Kars, la cittadina turca più vicina a circa 40 km. Kars è posizionata in un posto banale, è un’altra città brutta. Il confronto tra Ani e Kars è improprio ma inevitabile.

Abbiamo sostituito i bazaar con i centri commerciali, le strade con le autostrade, i caffè con gli starbucks, Ani con Kars… forse qualcosa in quella che chiamiamo evoluzione è andato storto.