venerdì 18 agosto 2023


 Dalla valle di Quadisha si sale al passo Nessef el Batrak, il paesaggio è lunare, meraviglioso, sullo sfondo si vedono i cedri, piante forti, eleganti, maestose. È bello che un Paese abbia una pianta nella sua bandiera, il Libano un cedro. 

Superato il passo si entra nella valle della Bekaa, un enorme altopiano che taglia il paese in due da nord est fino a Beirut. A nord, vicino alla Siria, la valle della Bekaa non è visitabile, occorrono permessi speciali, è una zona controllata da Hezbollah che ha impedito all’ISIS di filtrarsi in Libano. Nella valle della Bekaa abbiamo visitato il sito archeologico di Baalbek. Il tempio di Bacco (il godurioso) è ancora intatto, più sopra il tempio di Giove (il saggio) è distrutto dal tempo, dagli eventi, forse è solo una coincidenza, a me piace pensare che sia un messaggio. 

Dopo la visita a Baalbek scendiamo lungo la valle verso Beirut. La strada principale è contornata da tanti, troppi campi profughi. Tutti uguali, tende ricoperte con teli di plastica marchiati UNHCR. 

Ogni campo ha la sua storia, ogni persona che ci vive il suo dramma. 

Qualche giorno prima siamo stati a conoscere i volontari di Operazione Colomba che vivono in un campo di profughi siriani a nord del paese, a Tal Abbas nella regione dell’Akkar, la più povera del paese. Mentre sotto le gomme della macchina srotola la valle con i suoi buchi, voragini nell’asfalto, i pensieri corrono a quei giorni. Carlo, Pietro, Valentina e Mirco ci hanno accolti calorosamente, ci siamo sentiti a casa, è stato interessante avere il loro punto di vista sul parse che stiamo visitando, su quello da cui veniamo, sulla situazione delle persone che vivono nel campo. 

Mi piace lo spirito con il quale i ragazzi della Colomba operano, loro stanno con le persone, non fanno pozzi, chiese, scuole, loro tessono relazioni, giocano con i bambini, parlano con gli adulti, fanno vedere che qualcuno in Europa, al di là dei muri di carta, oltre il mare, li ascolta, dá un valore alle loro vite. Grazie a questa presenza, alle relazioni che i volontari della Colomba hanno costruito in quasi 10 anni di presenza, veniamo invitati nelle tende da alcune famiglie. Non abbiamo fatto molte domande, il fatto che non parliamo arabo non ha aiutato, abbiamo bevuto te, caffè turco e mangiato i dolci che ci hanno messo a disposizione. Viola, Giacomo, e Giovanni hanno giocato con i tanti bambini. Tutti i giorni sono uguali al campo. Ogni arrivo di un occidentale porta con sé la speranza che qualcosa si stia sbloccando, che un passaggio verso l’Europa si stia aprendo. Ci sono persone che vivono in queste tende da ormai 10 anni, dagli inizi della guerra in Siria. In inverno ci dicono che fa freddo, e quando piove entra acqua, ma si sono abituati. Ci sono tanti bambini che non hanno visto altro che la tenda in cui vivono. Carlo ci invita a non far vedere le nostre fotografie, sarebbe un contrasto troppo forte. L’UNICEF stima che nel 2020 c’erano circa 36 milioni di minori che vivevano in campi profughi. Per qualche adulto uscire dal campo comporta il rischio di essere deportato dall’esercito libanese in Siria, quindi torturato e imprigionato. 

Al campo di Tal Abbas trascorreremo 2 giorni, la notte la passeremo sui dei materassi nella tenda dove i volontari della Colomba vivono (dormono, mangiano, parlano …). Caldo, zanzare e materasso faranno la notte sincera. La mattina del giorno dopo aiuterò le donne libanesi che lavorano il tabacco a lavorare le foglie, sotto un portico c’erano una ventina di donne sedute a terra che staccavano le foglie di tabacco dalle piante, ho chiesto se potevo fare qualche fotografia e sono stato assoldato, un giusto prezzo per un paio di fotografie, ridevano della mia presenza, è un lavoro da donna pagato troppo poco per un uomo. Dopo aver speso qualche ora con un’altra famiglia, siamo stati invitati a pranzo dalla capo campo, una donna siriana che ha organizzato un banchetto nuziale. Durante il pranzo la figlia ventenne Suzane ci ha raccontato di un sogno, ci farà divertire e riflettere. Il sogno consiste praticamente nel fatto che lei quando era in fasce è stata scambiata nella culla e che le sue vere origini sono italiane. Ci racconterà delle evidenze che fanno di lei una italiana. È solo per una coincidenza, uno sbaglio che lei ora risulta essere siriana e Viola italiana. La piece teatrale termina con la richiesta a Chiara di riconoscerla come sua figlia. Suggerisce di porre rimedio a questo errore, lei torna con noi in Italia, Viola rimane al campo. Le faccio notare che viviamo in Portogallo, ma non ci sono problemi lei ha evidenti origini anche portoghesi. La giornata finisce nel migliore dei modi, una partita a pallone, tra loro gioca il Maradona siriano, un ragazzo piuttosto rotondo con un discreto controllo di palla, evitiamo Siria contro Italia, sarebbe troppo umiliante, la mettiamo sul filosofico mischiando le nazionalità. 

I volti di Youssef, Maya, Abudi, Mun ,e tutti i bambini che abbiamo conosciuto a Tal Abbas, ci hanno accompagnato per il resto del viaggio. È incredibile come siano vitali, svegli, e attivi nonostante il circostante, nonostante le circostanze. 

In Libano ci sono diverse situazioni per i profughi. I diritti per i profughi palestinesi sono codificati, possono fare certi lavori e nei campi la polizia e l’esercito libanese non possono entrare. I profughi siriani non sono riconosciuti, non hanno diritti. 

A rendere questa situazione paradossale sarà un pranzo in riva ad un fiume allo Shouf. La famiglia di Riwa, una compagna di università di Viola, ci invita per un pranzo, con noi ci saranno altri 30 loro famigliari, praticamente una sagra. Mangeremo le prelibatezze della cucina libanese. Quasi tutte le famiglie hanno almeno un membro che è ritornato per le vacanze estive al paesello. C’è chi vive in Francia, chi in Kuwait, chi a Dubai, ovunque. In Libano ci sono più profughi che libanesi, i libanesi all’estero sono di più di quelli rimasti in Libano. Le ragioni per essere andati via dal Libano sono diverse, la diaspora a causa della guerra civile, la crisi economica in cui versa il paese. Seduto accanto a me c’è lo zio di Riwa, lui vive in Kuwait da 23 anni, torna 2 volte all’anno a vedere moglie e figli. A Kuwait City finito il lavoro va a casa, che condivide con altri 2 connazionali e beve mate. Si mate perché tra le tante emigrazioni fatte dai libanesi c’è stata anche quella in Argentina agli inizi del secolo scorso. Mi dice che lui dopo 23 anni in Kuwait non può avere la cittadinanza neanche se sposa una donna del paese, sorridendo aggiunge che l’Europa è il posto più accogliente del mondo. Nello Shouf se non sei druso, non libanese ma druso, non puoi comprare terra, avere proprietà.

Meno di 100 anni fa non c’erano confini, i nomadi con le loro greggi potevano andare ovunque dalla regione dell’Homs (Sira), fino giù a sud in Cisgiordania (Palestina) passando per le alture del Golan (diviso tra Siria e Israele) e la valle della Bekaa (Libano). Un giorno in un ufficio di vetri qualcuno ha tirato delle righe e ha costruito gli Stati. Quel giorno a seconda di dove eri con il gregge le persone sono diventate siriane, libanesi, giordane, israeliane, o palestinesi. Da allora hanno dovuto fare guerre in nome di un’appartenenza che loro nonno fa fatica a capire, che il loro padre ha faticosamente accettato e i loro figli subiscono come un’ingiustizia da cui non vedono l’ora di scappare. 


(Qui trovare il link alla proposta di pace scritta dai profughi siriani e promessa da Operazione Colomba, andrebbe studiata nelle università, presentata nelle scuole).  


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