Sono state molte le occasioni,
in questi anni, nelle quali mi hai fatto
notare l’importanza del credere in alcuni valori sui quali è stata costruita la
nostra cultura: libertà, fratellanza e democrazia; per non disperdere quel
patrimonio per il quale anche tu hai faticato, a fondamento del quale c’è il
lavoro: “Non esiste futuro senza lavoro”. Sono cresciuto con frasi simili a
queste, e so che tu puoi ben dirle. Sai cosa vuol dire lavorare fino a sera
tardi, il sabato, e alle volte anche la domenica.
Quando ero bambino mi raccontavi della fame dopo la guerra, e di quei favolosi anni sessanta, nei quali non ti sembrava vero avere qualche soldo in tasca. E’ da quando hai 14 anni che lavori. Se esiste un tratto culturale che ti caratterizzato, e caratterizza quelli della tua generazione in questo fazzoletto di terra che è la Brianza, è questo inesauribile “bisogno” di dover fare. Troppo spesso bollato come egoismo, confuso con la smania di ricchezza. Questo “bisogno” è qualcosa di più nobile del soldo, è un valore. E’ quella sensazione che inizia al mattino con la voglia di affrontare i problemi che la giornata ti propone, e finisce alla sera quando, stanchi, si è certi che la giornata non è passata invano. So che quelli della tua generazione hanno lavorato duro, uscivate da una guerra, e avete voluto dare ai vostri figli tutto quello che a voi è mancato: benessere ed istruzione. Ve ne sono grato. Ogni tanto prendo il treno per andare a Milano in ufficio, e mi capita di sedermi vicino a muratori, imbianchini, operai, che fanno i pendolari per raggiungere un cantiere. Nella maggior parte sono africani, albanesi, sud-americani. Vengo invaso da un senso di rispetto perchè mi vieni in mente tu, papà. Ho rispetto per chi si sporca le mani, e per chi sa che dall’intensità dell’odore di sudore dipende quanto pane mangerà e che futuro potrà sognare.
Quando ero bambino mi raccontavi della fame dopo la guerra, e di quei favolosi anni sessanta, nei quali non ti sembrava vero avere qualche soldo in tasca. E’ da quando hai 14 anni che lavori. Se esiste un tratto culturale che ti caratterizzato, e caratterizza quelli della tua generazione in questo fazzoletto di terra che è la Brianza, è questo inesauribile “bisogno” di dover fare. Troppo spesso bollato come egoismo, confuso con la smania di ricchezza. Questo “bisogno” è qualcosa di più nobile del soldo, è un valore. E’ quella sensazione che inizia al mattino con la voglia di affrontare i problemi che la giornata ti propone, e finisce alla sera quando, stanchi, si è certi che la giornata non è passata invano. So che quelli della tua generazione hanno lavorato duro, uscivate da una guerra, e avete voluto dare ai vostri figli tutto quello che a voi è mancato: benessere ed istruzione. Ve ne sono grato. Ogni tanto prendo il treno per andare a Milano in ufficio, e mi capita di sedermi vicino a muratori, imbianchini, operai, che fanno i pendolari per raggiungere un cantiere. Nella maggior parte sono africani, albanesi, sud-americani. Vengo invaso da un senso di rispetto perchè mi vieni in mente tu, papà. Ho rispetto per chi si sporca le mani, e per chi sa che dall’intensità dell’odore di sudore dipende quanto pane mangerà e che futuro potrà sognare.
Papà, ti scrivo questa lettera
perchè sono preoccupato. Il tuo sogno con gli anni in parte è diventato anche
il mio. Non mi riferisco solo alla democrazia, alla libertà e alla fratellanza,
tutti i giorni abusate, violentate e negate per soddisfare gli interessi di
qualcuno, oppure per speculazioni ideologiche che nulla hanno a che fare con il
mondo reale, ma mi riferisco più concretamente al lavoro. La tua generazione
lavorava in modo precario, senza garanzie, pagando di tasca propria se qualcuno
si ammalava, ma con una certezza: erano sufficienti la salute e la buona
volontà e il lavoro non mancava. Questo bastava a infondere fiducia per il
domani. La mia generazione si muove in un contesto diverso. In nome della legge
del mercato, delle chimere della new-economy e delle speculazioni di borsa, non
sono più sufficienti la salute e la buona volontà per poter lavorare, in alcuni
casi non bastano neanche le capacità: da un momento all'altro ti puoi trovare
senza lavoro in nome di una ristrutturazione aziendale decisa da un'altra parte
del mondo. Sono tempi difficili, in cui regna l'incertezza, che ci costringono ad avere paura del domani.
E' arrivato il momento di
mettere in campo politiche che sappiano diffondere benessere per tutti e voglia
di scommettere sulle proprie possibilità. Politiche che sappiano credere e
chiedere il sudore della fronte e non speculazioni finanziarie. E' triste
constatare come i paladini della sicurezza siano gli artefici dalla maggiore
insicurezza: la precarietà nel lavoro (il centro-destra con quel gruppo di
turboRagionieri) e i tutori del futuro sono così ancorati alle conquiste del
passato (il centro-sinistra con quel gruppo di pseudoIntellettuali). Abbiamo
ereditato un mondo al contrario. Riusciremo a raddrizzarlo?
Papà, la tua è stata una
generazione incredibile: avete dato tanto e ricevuto poco, in alcuni casi
niente. Avete ragione d'essere incazzati.
Avete puntualmente regalato i
vostri migliori sogni, le vostre migliori speranze, così come le gambe e le
braccia, a chi vi ha puntualmente tradito. Alcune volte mi immagino la tua
faccia quando senti i risultati del governo precedente o la finanziaria di
quello attuale: un aborto di federalismo condito da quel vergognoso tentativo
di rimangiarsi tutte le promesse fatte in campagna elettorale. Così mi viene in
mente quello che hai dovuto sopportare in questi anni (con importanti, notevoli
e stimate eccezioni): prima la Democrazia Cristiana con i suoi dirigenti
burocrati, poi il Partito Socialista con alcuni fra i più incalliti tangentisti
e intrallazzoni, e per continuare negli anni 90 il Centro Sinistra dei confusi
e degli inconcludenti, il Polo delle Libertà: una riedizione aggiornata per il
nuovo millennio di briganti. Tutte le volte disposti a credere che qualcuno
potesse fare i nostri interessi mentre tu e la mamma vi spaccavate la schiena.
Papà, avresti dovuto ascoltare
di più la mamma quando ci ricordava che nessuno può fare le cose per noi. Per
quanto abbia meno senso delle istituzioni, ha un intuito che le viene
dall’essere donna. La mamma mi ha educato a guardare con sospetto chi dice che
vuole la pace e fa la guerra (o anche quelli che l’hanno fatta e adesso dicono
che non si deve fare); chi dice che bisogna ridurre le tasse, ma non sa cosa
siano, perché non le ha mai pagate; chi dice che l’anno prossimo farà il
federalismo e ogni anno trova un buon motivo per rimandarlo; chi propone tagli
nella sanità pubblica e si fa curare in cliniche private; chi dice di credere
nel libero mercato ed è diventato ricco perché ha goduto di una posizione da
monopolista.
Papà so che mi hai dato tanto,
ma aiutami una volta ancora, proprio in nome dei tuoi sogni e di quei valori
per cui hai faticato una vita.
Hai ragione a ricordarmi che il
nodo irrisolto della politica è come riorganizzare la distribuzione del potere.
E allora, in un verso, dall’alto al basso, pretendiamo di poter essere sovrani
a casa nostra, autonomia, nell'altro
verso, dal basso all'alto, costruiamo una fitta rete di relazioni (economiche,
culturali, sociali, politiche, ecc…) che sappiano tenere conto di responsabilità, che a partire dai comuni
travalichino i confini delle nostre regioni e stati e abbraccino le persone e
la natura.
Di più, se la mia generazione
può in qualche modo contribuire a concretizzare i valori che mi hai trasmesso,
credo che sia arrivato il momento di ripensare alla radice la democrazia.
Papà, aiuta la mia generazione
a soffiare per spazzare via gli imbroglioni, i briganti gli inconcludenti, gli
intrallazzoni, per sostituirli con me, te, tutti noi che non abbiamo interessi
particolari da tutelare e non sappiamo fare speculazioni ideologiche ma
crediamo nelle cose fatte con onestà, sentimento e nel sudore della fronte.
Altrimenti mi sa che sarà sempre la stessa storia, anche se a raccontarla ci
sarà qualcuno che parla in dialetto.