venerdì 31 luglio 2015

Il birmano è un linguaggio complesso, incomprensibile, sia parlato che scritto, io per le lingue sono negato, ma dopo solo 3 settimane che sono in Myanmar parlo birmano.

Ci svegliamo alle 6.30 e facciamo una colazione veloce, vogliamo prendere il treno per Hsipaw delle 8.20.
Arriviamo in stazione e il treno è in ritardo. Non di 10 o 30 minuti, nemmeno di un'ora. Ci informano che forse arriverà alle 14.00.
Intanto qui a Pyin oo Lwin piove initerrottamente da 3 giorni. Avevo appena detto che tutto sommato il monsone non ci aveva rovinato i piani. Siamo costretti ad aspettare ore in una stazione ferroviaria in vero stile coloniale. Così cerco d'approfittare della situazione per migliorare il mio birmano. Del resto è un mese che mi esprimo a gesti e sembra funzionare ( http://breva-tivano.blogspot.com/2015/07/a-yangon-diluvia-myanmar-1.html ).
Dopo alcune ore d'attesa arriva la notizia, il treno è cancellato a causa delle alluvioni nella zona in cui avremmo voluto andare, sembra che 9 persone siano morte. Mesti ci rimettiamo lo zaino in spalla e andiamo a caccia di una guesthouse a Pyin oo Lwin.
Da quando ho scoperto che il 90% di quello che vogliamo dire è mediato dal corpo più che dalle parole, il linguaggio non verbale, per me si è aperta una possibilità.
Occorre però tenere in considerazione alcune, importanti, differenze.
Per esempio, quando in Myanmar ti devono dare qualcosa con la mano, per esempio il resto, allungano il braccio sinistro con il palmo rivolto in avanti, portano la mano destra nella parte anteriore del gomito sinistro, ed alzano l'avambraccio. Ora prova a fare il gesto, in italiano ha un preciso significato, "ciapa", e se applicato al fatto che si aspettano dei soldi non è bello.
La prima volta che me l'hanno fatto ci sono rimasto male. Siamo a cena, chiedo il conto e pago con un taglio di banconote abbastanza alto, quindi mi aspetta un cospicuo resto, do i soldi al cameriere il quale mi fa "ciapa". Guardo Chiara, guardo il cameriere, riguardo Chiara e mentre sto decidendo se saltare al collo del cameriere, questo inizia a darmi il resto.
Oppure un altro gesto ambiguo è "no". In myanmarese viene espresso con il palmo aperto sceccherato. In italiano sarebbe come "così-così". Niente di grave, ma dipende dal contesto. Immagina per esempio di entrare in un ristorante con un bambino per mano che deve fare urgentemente i suoi bisogni e chiedi della toilette, e quello del ristorante ti risponde "così-così". Mentre il bambino sta stringendo i denti, tu non hai tempo per considerazioni qualitative, così alla fine dopo alcuni altri gesti imbarazzanti, ma chiari, capiscono la situazione e si va a casa del vicino.
In casa abbiamo due vegetariani, non è stato facile comunicare con i gesti che si vorrebbe cibo senza pollo, mucca, maiale e pesce, o meglio e' stato  facile, alcune volte solo un po' imbarazzante.
Comunque, tra tutti i gesti che ho dovuto imparare, quello che in fondo mi piace di più è quando non ci si capisce, qui ti guardano e sorridono. Da noi quando c'è un'incomprensione ci si incupisce, si aggrotta la fronte e si chiede di ripetere, spesso infastiditi. In Myanmar si sorride. All'inizio mi dava fastidio, mi sembrava mi prendessero in giro, adesso mi diverte.
(Altri racconti sul Myanmar http://breva-tivano.blogspot.com/search/label/%23myanmar)