Ci sono parole che corrono sui binari come treni, altre che a fatica salgono su sentieri di montagna come muli. Altre ancora che non corrono proprio, si attorciliano nella gola e non escono. Salutare Lisbona e farlo con la prospettiva di non tornarci blocca le parole in gola.
È strano percepire un posto come parte di te, una sorta di braccio, gamba, Lisbona è proprio così, una gamba. Una gamba che mi ha permesso di correre, conoscere questo meraviglioso Portogallo, ed esplorare i posti vicini come la Spagna, e il Marocco.
Abbiamo acceso un fuoco e siamo stati a dormire con i sacchi a pelo in spiaggia cullati del suono delle onde, quelle di un oceano troppo grande per farci trovare casa. A noi Luraschi, abitanti di quella rongia che pretende d'essere un torrente detto Lura, l'oceano ci disorienta, ci confonde, forse un fiume può riuscire a contenerci.
A svelarmi il mistero della scelta di andare ad accamparci sulle rive della Vistola ci pensa Nuno. È notte ed intorno al fuoco ci siamo raccontati una storia senza capo né coda, che a turno ciascuno ha dovuto arricchire. La storia di un cane e della sua salsiccia, un mare da attraversare, una strega da sconfiggere ed il presidente del mondo che deve prendere una decisione saggia. È divertente ascoltare la fantasia disarmante dei ragazzi. Nuno mi chiede quando sono nato, mi guarda e dice che sono albero, e che sono alla ricerca delle mie radici, sarò costretto a deambulare in questo mondo. Come per magia mi ricordo una conversazione avuta qualche anno fa con l'Armando (link) in cui mi diceva lo stesso, rileggo gli appunti che mi ero segnato, e con precisione astrale l'Armando aveva predetto che nel 2016 me ne sarei andato dal Portogallo.
Tornati a casa dalla notte in spiaggia convinco Chiara ad uscire con la scusa di fare la spesa, come siamo soliti fare ci mettiamo lo zaino in spalla e andiamo al Pingo Doce (piccolo super mercato cittadino vicino casa). Lisbona è un su e giú, e lo zaino ci pertette di non romperci le mani con i sacchi della spesa. La prendo alla larga, porto Chiara al miraduro di Santa Lúcia. La porto a guardare la sua, la mia, la nostra Lisbona. Così le chiedo, ancora una volta, se è sicura di voler lasciare l'oceano per un fiume.
Devo essere sicuro non tanto che sia la scelta giusta, ma che siamo abbastanza folli da lasciare questa meraviglia che è Lisbona.
Chiara non risponde, mi guarda e dice "... torniamo a casa dai bambini che è meglio". È il suo modo di dire di si. Quando le cose si fanno difficili lei abbassa la testa e va avanti, adoro questa donna.
Così, preso da una sorta d'euforia abbinata a senso di colpa, elenco le valide ragioni per lasciare Lisbona. La prima ragione è che non riuscivo più a sopportare che ci chiamassero Lurasci, la sch in portoghese viene sc, Lurawski suonerà meglio, più categorico, austero, persino sovversivo. La seconda è che francamente tra il Portogallo e la Polonia ci sono un saco di similitudini, voglio dire, a parte il clima, la lingua, il cibo, la cultura, la storia, la geografia e molte altre cose che sono decisamente diverse e comunque marginali, c'è una cosa che unisce i due Paesi indissolubilmente, Chiara si gira e arricciando la fronte mi chiede "cosa?", "entrambi iniziano con la lettera P" rispondo. A questo punto una qualsiasi altra persona mi avrebbe mandato a quel Paese (in questo caso non intendo la Polonia), lei invece s'illumina e mi chiede se questo significa che il prossimo trasloco sarà per il Paraguai, Papua nuova Guinea, Polinesia, Patagonia. Ho per le mani la partita, potrei chiudere in simpatia la questione dicendo qualcosa del tipo "certo, è così andremo in ..." non so "Paraguai", la posso rendere felice con poco, invece come un imbecille rispondo "Pakistan". Mi guarda e scuote la testa, mai una volta una rassicurazione. Io ormai sono certo, mi ha detto di si, so che non c'era bisogno, ma mi ha dimostrato amore, solo una folle può seguire un demente, altrimenti è amore. Del resto come diceva Vasco " ... la vita è un equilibrio sopra la follia ... " è che noi ci stiamo attrezzando per vincere un premio.
Così è arrivato il momento di salutare, ringraziare un posto che abbiamo amato, le persone che ci hanno voluto bene. A sciogliere quel nodo in gola che si forma ogni volta che c'è un saluto importante ci pensa la lingua portoghese. "Adeus" in italiano suona come un addio ma in portoghese significa arrivederci.
È strano percepire un posto come parte di te, una sorta di braccio, gamba, Lisbona è proprio così, una gamba. Una gamba che mi ha permesso di correre, conoscere questo meraviglioso Portogallo, ed esplorare i posti vicini come la Spagna, e il Marocco.
Abbiamo acceso un fuoco e siamo stati a dormire con i sacchi a pelo in spiaggia cullati del suono delle onde, quelle di un oceano troppo grande per farci trovare casa. A noi Luraschi, abitanti di quella rongia che pretende d'essere un torrente detto Lura, l'oceano ci disorienta, ci confonde, forse un fiume può riuscire a contenerci.
A svelarmi il mistero della scelta di andare ad accamparci sulle rive della Vistola ci pensa Nuno. È notte ed intorno al fuoco ci siamo raccontati una storia senza capo né coda, che a turno ciascuno ha dovuto arricchire. La storia di un cane e della sua salsiccia, un mare da attraversare, una strega da sconfiggere ed il presidente del mondo che deve prendere una decisione saggia. È divertente ascoltare la fantasia disarmante dei ragazzi. Nuno mi chiede quando sono nato, mi guarda e dice che sono albero, e che sono alla ricerca delle mie radici, sarò costretto a deambulare in questo mondo. Come per magia mi ricordo una conversazione avuta qualche anno fa con l'Armando (link) in cui mi diceva lo stesso, rileggo gli appunti che mi ero segnato, e con precisione astrale l'Armando aveva predetto che nel 2016 me ne sarei andato dal Portogallo.
Tornati a casa dalla notte in spiaggia convinco Chiara ad uscire con la scusa di fare la spesa, come siamo soliti fare ci mettiamo lo zaino in spalla e andiamo al Pingo Doce (piccolo super mercato cittadino vicino casa). Lisbona è un su e giú, e lo zaino ci pertette di non romperci le mani con i sacchi della spesa. La prendo alla larga, porto Chiara al miraduro di Santa Lúcia. La porto a guardare la sua, la mia, la nostra Lisbona. Così le chiedo, ancora una volta, se è sicura di voler lasciare l'oceano per un fiume.
Devo essere sicuro non tanto che sia la scelta giusta, ma che siamo abbastanza folli da lasciare questa meraviglia che è Lisbona.
Chiara non risponde, mi guarda e dice "... torniamo a casa dai bambini che è meglio". È il suo modo di dire di si. Quando le cose si fanno difficili lei abbassa la testa e va avanti, adoro questa donna.
Così, preso da una sorta d'euforia abbinata a senso di colpa, elenco le valide ragioni per lasciare Lisbona. La prima ragione è che non riuscivo più a sopportare che ci chiamassero Lurasci, la sch in portoghese viene sc, Lurawski suonerà meglio, più categorico, austero, persino sovversivo. La seconda è che francamente tra il Portogallo e la Polonia ci sono un saco di similitudini, voglio dire, a parte il clima, la lingua, il cibo, la cultura, la storia, la geografia e molte altre cose che sono decisamente diverse e comunque marginali, c'è una cosa che unisce i due Paesi indissolubilmente, Chiara si gira e arricciando la fronte mi chiede "cosa?", "entrambi iniziano con la lettera P" rispondo. A questo punto una qualsiasi altra persona mi avrebbe mandato a quel Paese (in questo caso non intendo la Polonia), lei invece s'illumina e mi chiede se questo significa che il prossimo trasloco sarà per il Paraguai, Papua nuova Guinea, Polinesia, Patagonia. Ho per le mani la partita, potrei chiudere in simpatia la questione dicendo qualcosa del tipo "certo, è così andremo in ..." non so "Paraguai", la posso rendere felice con poco, invece come un imbecille rispondo "Pakistan". Mi guarda e scuote la testa, mai una volta una rassicurazione. Io ormai sono certo, mi ha detto di si, so che non c'era bisogno, ma mi ha dimostrato amore, solo una folle può seguire un demente, altrimenti è amore. Del resto come diceva Vasco " ... la vita è un equilibrio sopra la follia ... " è che noi ci stiamo attrezzando per vincere un premio.
Così è arrivato il momento di salutare, ringraziare un posto che abbiamo amato, le persone che ci hanno voluto bene. A sciogliere quel nodo in gola che si forma ogni volta che c'è un saluto importante ci pensa la lingua portoghese. "Adeus" in italiano suona come un addio ma in portoghese significa arrivederci.