giovedì 5 aprile 2018

A Gerusalemme ci sono pochi turisti, molto meno di quelli che mi ero immaginato d'incontrare a Pasqua.
Siamo seduti ad un tavolo nella città vecchia per pranzare e viene a servirci una cameriera italiana. Così tra una falafel e un kebab le chiedo ragione di questa cosa.
Gerusalemme svela il suo volto di città di confine tra due modi di pensare che non si riescono a capire, non si vogliono toccare.

La ragazza italiana ci spiega che gli ultra ortodossi ebrei hanno ottenuto il permesso di celebrare il rito dell’agnello ai piedi della moschea di al Aqsa, un luogo sacro sia ai musulmani sia agli ebrei. In questa moschea i musulmani celebrano l'ascesa in cielo del profeta Maometto, mentre per gli ebrei è il luogo in cui Abramo rinunciò a sacrificare suo figlio Isacco dopo che un angelo mandato da Dio lo grazio’, al suo posto fu sacrificato un agnello.
Celebrare con il sangue di un agnello il Dio di Abramo, che è lo stesso Dio di Maometto, in un luogo sacro ai musulmani potrà venire interpretato come una provocazione, e questo potrebbe scatenare una reazione violenta. Questa potrebbe essere una ragione per cui alcuni turisti hanno deciso di non venire.
Intanto diverse comitive di cristiani, principalmente ortodossi, ripercorrono le tappe della via crucis, come se fosse una cosa che si svolge in un altro luogo e tempo, in parallelo alla situazione che sta vivendo la città. Si ha l'impressione che per loro la fede sia sopra, sotto, di fianco alle storie di queste persone, ma non dentro.
Mentre a Gerusalemme gli ebrei ortodossi con i loro abiti tutti uguali, i lunghi boccoli (payot) e gli strani cappelli s’incrociano con cristiani di tutte le congregazioni possibili ed immaginabili, i musulmani svolgono le loro preghiere. In un clima di calma apparente, perché a Gerusalemme ci si deve incrociare senza toccarsi.
Dopo una passeggiata per le meravigliose vie della città vecchia e dopo aver calpestato i luoghi in cui Gesù spese gli ultimi giorni della sua vita sulla terra, andiamo nel quartiere musulmano. Ci sono alcuni ragazzi che stanno giocando a calcio in un campo di cemento ricavato tra le case, con sette bambini al seguito la partita è d'obbligo. Capone e Luraschi contro Gerusalemme est. La partita finisce col risultato di 2-1 per loro, incluso l’arbitraggio di Davide decisamente dubbio a favore degli avversari. Ci salutiamo con pacche sulle spalle e qualcuno timidamente dice “free Palestine”, gli altri sorridono.
Fa freddo la sera a Gerusalemme, ed è tempo di tornare in albergo a organizzare l'itinerario per le prossime tappe. Un ragazzo palestinese che lavora nell'albergo mi racconta una cosa che sembra frutto di una suggestione collettiva. Mi dice che domani (venerdì 30 marzo), ci saranno 10 palestinesi morti. Gli israeliani hanno già deciso.
In città tutti quelli con cui parliamo ci consigliano di andare via, di non stare a Gerusalemme di venerdì.
Purtroppo le notizie a tarda sera del 30 marzo 2018 saranno anche più drammatiche di quelle minacciate. Ci sarà infatti la manifestazione della “marcia del ritorno” a Gaza, vicino al muro, per riavere la terra che i Palestinesi si sono visti togliere nella guerra del '76. L’esercito israeliano ucciderà 15 manifestanti e ci saranno migliaia di feriti.
Quella che avevo pensato fosse una suggestione si è trasformata in realtà.
Tutto questo mentre pellegrini di ogni tipo si inginocchiano sul sacro sepolcro, o in direzione della mecca, e gli ebrei picchiettanti piangono il loro muro. Da queste parti l'importante è, quando ci si incrocia, non toccarsi, perché altrimenti la storia non sta sopra, sotto o di fianco ma dentro, come dentro possono entrare le pallottole.