martedì 17 aprile 2018

Nablus è il nostro incontro con la storia di questo Paese, il suo non-futuro.

Partiti da At-tuwani (link), siamo passati da Hebron (link), ci siamo fermati sul Mar Morto a fare il bagno nell’acqua salatissima, infine siamo andati a Ramallah a dormire. Le distanze in Palestina sono irrisorie, occorre solo evitare i checkpoint se non si vuole perdere tempo. Il territorio della Palestina è diviso in aree: Area C controllata dall’esercito israeliano, Area B parzialmente controllata dall’esercito israeliano, ed area A ufficialmente controllata dai Palestinesi ma in pratica l‘esercito israeliano fa quello che vuole.

A Nablus incontriamo Wajdi, ci presenterà il lavoro che sta facendo con l'associazione di cui è direttore, Human Supporters Association (HSA link). L’HSA porta avanti coraggiosi progetti come quello della scuola, uno dei pochi progetti in Palestina, forse nell’intero mondo arabo, in cui ci sono classi miste e si insegna in modo interattivo. A Nablus la seconda intifada (2000-2005 link) ebbe uno dei momenti più drammatici, ed è ben visibile nei disegni dei bambini che ancora oggi rappresentano carri armati, bombe e soldati.

Ma è la visita al campo profughi di Balata che ci scioccherà. 30.000 persone vivono in 250 mq. Ogni famiglia vive in una stanza di 3 mq, e ogni bagno è condiviso da 10 famiglie. A Balata vivono le persone deportate in Palestina a seguito della risoluzione Onu del 1948, quella che vide la nascita dello Stato d’Israele. Molti di loro possiedono ancora le chiavi di casa, quelle che hanno dovuto lasciare agli israeliani, sperano un giorno di poter ritornare.

A Balata non si entra se non accompagnati, altrimenti ragazzini che sbucano da ogni dove ti prendono a sassate. È il loro modo di proteggere il futuro che non avranno. Da Balata non si esce. Balata viene definito come un “campo profughi”, ma in pratica è una prigione a cielo aperto.

Noi Balata la gireremo con i volontari dell’HSA che qui sono i benvenuti.

La sera Wajdi verrà a trovarci nell’ostello dell’HSA, dove abbiamo alloggiato. Faremo una lunga chiacchierata, parleremo di Arafat, di Hamas, della Palestina, di Israele, dei trattati di Oslo, degli Stati Uniti e di quanto Trump sia pericoloso per il Medio Oriente, del ruolo subalterno dell’Europa con la Germania incapace prendere una posizione, forse per un senso di colpa.
Wajdi ha il carisma del giusto, parla con il sorriso sulle labbra ma la chiarezza di chi non ha niente da perdere perché ha visto cose che io mi posso solo immaginare, per fortuna.

È notte, siamo stanchi, accasciati sulle sedie, dopo tante domande e poche risposte c'è un attimo di silenzio. Guardiamo un pò tutti nel vuoto e prima che Wajdi prenda l'iniziativa di salutarci inizia a prendere forma un pensiero nella mia testa, più che conclusioni mi sembra sia la constatazione di una amara realtà.

Dei tanti tentativi per trovare una soluzione a questa guerra che sta insanguinando il mondo da ormai 80 anni rimangono quelli che sono morti e quelli che moriranno. Perché di morti ce ne saranno ancora, e tanti.

Della guerra Israelo-Palestinese, e non di un retorico conflitto come spesso viene chiamato per ammorbidire la pillola, ognuno può avere la sua idea, cercare di capire a suo modo chi sono i buoni e i cattivi, oppure decidere di lavarsene le mani con una posizione più ecumenica, e sostenere che per esempio tutti hanno torto o nessuno ragione. Posizioni legittime ma che che non rispondono al mio senso di giustizia.

Una cosa risulta evidente agli occhi di chi decide di andare a vedere di persona cosa sta succedendo: in questo momento è chiaro chi è l’oppresso e chi è l'oppressore.

Il mio senso di giustizia può sembrare spiccio, ma mi aiuta a capire come muovermi: occorre stare dalla parte di chi è oppresso. Perché di fronte ad una guerra, qualsiasi guerra, anche quelle che non ci toccano direttamente, uccide anche la posizione di chi vuol rimanere neutrale.

L'incapacità di denunciare da parte delle democrazie occidentali gli atti di violenza che Israele sta commettendo alimenta l’odio, ed Israele è il primo a pagarne il prezzo.

La Palestina si sta atrofizzando sotto l'occupazione caparbia d’Israele, le sempre più numerose colonie, gli interessi mai ufficialmente dichiarati della Giordania e dell’Egitto. Schiacciata tra gli Stati Uniti e gli Stati Arabi, nell'indifferenza colpevole dell'Europa.

La Palestina si sta trasformandosi in una grande prigione, una grande Balata.