mercoledì 25 luglio 2018

“Sono le passioni che ci salveranno, chi è stato programmato per portare a casa la pagnotta è fottuto”. Forse no.

Piove, i vetri dei sedili posteriori del taxi sono bagnati, sto andando ad un incontro di lavoro, potrebbe essere in una qualsiasi città in Europa, non importa quale.
Guardo fuori. Persone ferme alla fermata del tram, altre camminano con la borsa della spesa o con la valigetta da lavoro. Tutte uguali, tutte dentro questo tempo, quello fatto di quotidianità.
Solo pochi mi sembrano diversi. C'è un ragazzo con una chitarra sulle spalle, ascolta musica, tiene il tempo. Lui è fuori da questo tempo, almeno adesso mentre con il taxi gli passo davanti.
Ieri ce lo siamo detti con Lale. Lale sta per il mio amico Alessandro. Ci sentiamo su whatsapp ci raccontiamo le nostre scoperte, che in fondo sono frutto del superamento, o arresa, delle difficoltà di questa vita, di questo tempo.
Lale mi ha chiesto qual è la cosa mi piace fare, più di tutte.
Io non lo so. Io sono stato programmato per portare a casa la pagnotta, non ho tempo per il resto, il resto deve essere un corollario.
Le passioni sono il sale di questa vita. I cibi insipidi nutrono ma non danno gusto.
Mi piacerebbe che i miei figli coltivassero una passione, per la musica, lo sport, una qualsiasi. Così affannosamente mi ritrovo a proporre cose che non attecchiscono.
Questo pensiero prende corpo, spesso con rabbia, per l'urgenza di trovare un rimedio tutte le volte che li vedo incollati all’ipad. La preoccupazione che quella diavoleria possa rubargli il tempo mi spaventa.
Di ritorno dal viaggio di lavoro mi sono preso una domenica fuori dal tempo con Chiara. Siamo stati a Sesimbra in riva all’oceano, siamo andati a trovare Isaías, il nostro ristorante preferito, e poi abbiamo lasciato che la giornata prendesse il sopravvento, ci siamo immersi nel tempo, in un altro tempo.
Forse è questo che avrei dovuto riuscire dire al Lale, forse è questo che dovrei riuscire a trasmettere a Viola, Giacomo e Giovanni. Forse è questo che dovrei imparare a fare più spesso, semplicemente
lasciarmi cullare dal tempo.