Radicato nelle viscere di ognuno di noi c'è un luogo che nessuno ha mai visitato ma che ci appartiene come ci possono solo appartenere i luoghi della nostra infanzia: totalmente.
Con l’adolescenza questo luogo diventa confuso, contraddittorio. Da rifugio può trasformarsi in un luogo dove perdersi. Spesso il caso, la fortuna o per chi ci crede il destino, rappresentano le uniche ragioni per cui la mia, la nostra vita, è andata diversamente da quella di Giovanni.
Tu sei anche la storia che ti raccontavano quando eri piccolo. Quella che i tuoi genitori ti leggevano prima di dormire, quella che hai immaginato guardando le pagine del libro che sfogliavi. Il paese dei Balocchi descritto in Pinocchio è un luogo a cui un giorno vorrei tornare, o forse evitare per sempre. Proprio come quel bambino che dentro di noi pretende di vivere totalmente la storia che ha amato.
Per me il paese dei balocchi ha rappresentato una pericolosa tentazione, ero affascinato da un luogo dove: «Lì non vi sono scuole, lì non vi sono maestri, lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola, e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica.» (Carlo Collodi, op. cit., p. 228), ma allo stesso tempo mia mamma non perdeva occasione per ricordarmi che se non avessi studiato mi sarei trasformato in un asino.
Attraversare le tentazioni ha significato diventare grande. Non credo che le tentazioni si possano affrontare, o peggio vincere, credo che più modestamente le tentazioni si possano solo attraversare, e se non lasciano ferite troppo grandi occorre essere riconoscenti alla fortuna.
Quando ero piccolo, aiutato dal libro di Pinocchio, il paese dei balocchi me lo sono immaginato come un grande circo. Più tardi, quando frequentavo le scuole medie, il circo lo conobbi davvero. Nel paese dove vivevo ogni anno arrivavano gli “zingari”, piantavano i loro tendoni ai bordi del paese e proponevano ogni sera il triste spettacolo del leone moscio e della scimmia impertinente, e ovviamente gli immancabili autoscontri e pungiball.
L’accampamento dove stavano gli zingari era visto con sospetto dagli abitanti del paese.
“Mia madre mi disse non devi giocare
Con gli zingari del bosco” (Sally, De Andre’)
Con gli zingari del bosco” (Sally, De Andre’)
Io al circo ci andavo di nascosto con alcuni miei compagni di classe. Andavamo di pomeriggio dopo scuola al posto di andare a giocare a calcio all’oratorio.
Giovanni era decisamente il più audace tra i miei amici. Giovanni era generoso, troppo generoso. Io e Giovanni eravamo inseparabili, ma lui al circo iniziò ad andarci anche da solo. Al circo non incontrava gli zingari ma quelli che si trovavano dietro la chiesa.
Alla fine delle medie Giovanni, come altri miei amici, l’ho perso. Accadde per una inevitabile circostanza, alcuni andarono a lavorare, altri frequentarono scuole superiori diverse dalla mia. Ci allontanammo perché la vita scelse che ci dovessimo allontanare.
Giovanni si trovava sempre più spesso dietro la chiesa, io iniziai a frequentare meno il paese e più la città. Dietro la chiesa conobbe l’eroina, agli inizi degli anni ‘80 l’eroina era ovunque, finire nel gruppo che si trovava dietro la chiesa era facile, ci finivi a prescindere da quello che tua madre ti diceva.
Giovanni lo vidi sempre meno. L’ultima volta che ci incontrammo era al volante di una dyane 2 cavalli, era magro, ed aveva i capelli lunghi, mi diede un passaggio a scuola, doveva andare da tutt’altra parte ma mi raccolse una mattina in cui avevo perso il bus e stavo facendo l’autostop. Dopo quella mattina di Giovanni non seppi più niente per qualche anno.
In questi giorni, parecchi anni fa, Giovanni “con due gocce d'eroina s'addormentava il cuore”. A me Sally di De André fa ricordare Giovanni. Giovanni mi fa pensare quanto l’adolescenza sia anche, forse principalmente, un delicato equilibrio tra caso e fortuna.