sabato 15 novembre 2025

 

Andare in Palestina di questi tempi può sembrare stupido, inutile, provocatorio oppure nobile, imprescindibile, coraggioso. 

Quello che può sembrare non conta. A me interessa vedere con i miei occhi, e ai Palestinesi interessa che altri occhi vedano.

Noi ufficialmente siamo in terra santa per esercizi spirituali. Abbiamo una stanza prenotata dalle suore comboniane a Gerusalemme. Ci prepariamo una storia convincente per l’arrivo al Ben Gurion. I timbri del Libano sul nostro passaporto e la visita a Gaza di MrD agli inizi del 2023 sono piu che sufficienti per farci ritornare direttamente da dove siamo venuti. Invece va meglio di tutte le nostre piu rosee previsioni, neanche una domanda, anzi la pratica si conclude con un “welcome”. 

A prenderci all’aereporto c’è un amico israeliano che ci porta a Gerusalemme. Dopo i primi convenevoli sono curioso, gli chiedo se c’è speranza che Israele cambi prospettiva, dato che ci sono migliaia di persone in piazza anche in Israele a protestare contro questa occupazione. Lui è convinto che sia peggio. 

Per risollevarci prima di andare dalle suore facciamo una doverosa sosta astronomica alla meravigliosa porta di Damasco, dove mangiamo pita falafel

Il tempo in cui si discuteva se quanto sta succedendo a Gaza sia un genocidio è superato, ci sono le sentenze, i rapporti UN, e soprattutto le immagini supportate dalle sconcertanti dichiarazioni di un governo quello israeliano “democraticamente” eletto. 

Trovare una soluzione al casino in cui Israele, con il supporto degli Stati Uniti, ci ha infilato non è facile, e ci vorranno alcune generazioni. Sicuramente non è un accordo firmato in un resort sul Mar Rosso che ripristinerà le condizioni per una prospera pace. Per decenni Israele ha rappresentato  l’avamposto degli Stati Uniti in un’area troppo difficile perché dei cowboys la potessero capire. Da ottobre 2023 la situazione si è capovolta e gli Stati Uniti sono al servizio di Israele, della sua fanatica missione: la costruzione di uno stato che occupi il territorio dal Giordano al Mediterraneo, e la conseguente deportazione di chi ci vive da milioni di anni, perché loro i palestinesi sono impuri, non degni di abitare le terre che Dio ha affittato al popolo eletto.

Nel varco di tempo che si apre tra il genocidio di Gaza e quando la situazione si normalizzerà c’è una umanità che soffre.

In questo periodo di mezzo è importante agire, fare qualcosa, qualunque cosa possa alleviare la sofferenza, di chi in realtà vuole vivere una vita semplice fatta di cose normali, accudire una casa, andare al lavoro, tirar grandi i figli. Invece non può perché ogni giorno è costretto a subire umiliazioni ai check points, piangere dei morti uccisi, trovare modo di sopravvivere. 

Quindi abbiamo deciso di mettere a disposizione i nostri occhi per vedere, raccontare, ma soprattutto far sapere ai palestinesi che non sono soli. La mia speranza è che se siamo in molti a farlo, come del resto sta succedendo, questo possa ridurre l’esigenza, per altro comprensibile, di reagire in modo violento ad una violenza che la storia pensava di aver estirpato. Perché se fosse vero che quanto fatto a Gaza sia giustificabile da ciò che è accaduto il 7/10, allora è altrettanto vero che probabilmente il 7/10 non è stato sufficientemente violento rispetto a quanto subito da migliaia di palestinesi negli ultimi 70 anni: torture, violenze, asportazioni di organi, o a quanto i coloni quotidianamente infliggono ai palestinesi a casa loro.  Da questa logica occorre uscire.

Andiamo per capire se dopo tutto quello che i palestinesi hanno subito possiamo trovare un po’ di speranza.