lunedì 17 novembre 2025


 Se la speranza è l’ultima a morire, in Palestina siamo dopo, oltre

Andiamo dalle suore comboniane a Gerusalemme per soggiornare e tanto che ci siamo per capire come sono messe con la speranza, loro sul tema dovrebbero intendersene. Suor Mariolina dopo averci spiegato e fatto vedere cosa fanno, ci porta sul tetto del convento e ci mostra il muro di recinzione del loro asilo: alto, massiccio, spinato, divide Israele dalla Palestina. Sul tetto facciamo una lunga chiacchierata.

Capiamo che Haaretz, il quotidiano israeliano molto critico sul governo e su quanto fatto a Gaza lo leggono in pochi, pochissimi, Gideon Levy usa dire che i suoi articoli prima del 7 ottobre 2023 li leggeva solo sua moglie, dopo neanche lei. Haaretz viene letto solo da noi occidentali a cui piace credere che in Israele ci sia un'alternativa significativa al pensiero dominante. 

Capiamo che gli ebrei sono divisi in una miriade di sette, tra gli ultra-ortodossi ci sono anche quelli che hanno posizioni simili a chi la guerra non la vuole, e comunque sono una esigua minoranza. 

Capiamo che Israele è uno stato identitario e teocratico che noi speriamo sia simile alle nostre democrazie ma è più simile ad un califfato dove viene imposta la legge della torah al posto della sharia. 

A conclusione della conversazione chiedo a suor Mariolina di lasciarci un pensiero positivo, ci guarda, pensa un pochino e ci dice che lei è sicura che le cose cambieranno perché così non possono andare avanti, che prima o poi quello che sta succedendo a Gaza deve finire. Forse preferivo prima, quando speravo di trovare una speranza. 

Il giorno lo passeremo a Gerusalemme. Gerusalemme è unica, non c’è città al mondo dove le religioni si intersecano come qui, ma non si sfregano perché se succede, s’incendiano. Il souk di Gerusalemme è autentico, molto più sincero dei luoghi cristiani trasformati in un lucroso business, principalmente gestito dagli ortodossi. Verso tardo pomeriggio ci spostiamo a Betlemme. 

Nel 2018 quando venni per la prima volta, Betlemme era dall’altra parte, occorreva attraversare un checkpoint e ci voleva del tempo. La Palestina c’era, c’era un confine da oltrepassare. Adesso il confine non c’è più. Il muro rimane, c’è un di qua e un di là ma è come se al concetto di due Stati si sia sostituito quello di due quartieri, quello dei ricchi e quello pericoloso dove è meglio non entrare. 

La sera dormiamo nella casa delle Colombe, hanno un posto essenziale, dove incontriamo Teresa e Salvatore che vengono da alcuni villaggi intorno a Betlemme, sono in Palestina per aiutare a raccogliere le olive. Ci raccontano che la sensazione che si vive è di paura. Le scene ripetono un rituale consolidato, i contadini con i volontari sono nei campi a raccogliere le olive, arrivano i coloni che con i mitra a tracolla, i boccoli e i trattori disturbano, infastidiscono, provocano. Nessuno reagisce. Quando la situazione diventa insostenibile i contadini chiamano quelli dell’IDF che intervengono, mettono gli internazionali da una parte e i palestinesi per terra. Controllano i passaporti e lasciano che i coloni si possano prendere gioco di tutti, poi se ne vanno. Questo è il prezzo che i palestinesi devono pagare per poter raccogliere le olive sui loro terreni. 

Di questo clima di terrore i palestinesi non ne possono più, sono esausti. Che la soluzione sia uno, due, o più Stati non gliene può fregare di meno. Loro vogliono poter raccogliere le olive in pace. 

Nonostante questo resistono, ci vuole una resilienza straordinaria per stare, che loro chiamano sumud.

Qualche mese fa a Lisbona eravamo andati a vedere un documentario sulla Palestina “Where the olive trees weep” (che consiglio caldamente di vedere) dopo il film c’era stato un piccolo dibattito con una delle protagoniste del documentario Ashira Darwish. Ci aveva detto una cosa che avevo fatto fatica a capire sulle donne palestinesi: nonostante i loro figli vengano uccisi, imprigionati, loro continuavano a volerne altri. Per loro questo significa generare speranza. Anche i coloni fanno un numero molto alto di figli. Israele ha il potere di decidere come risolvere questa situazione, ha il coltello dalla parte del manico, è chiaro che non potranno essere i figli dei coloni a decidere, loro il coltello hanno già scelto come usarlo.

A risollevare la serata ci pensano le falafel più buone del mondo. Avevamo scoperto questo falaffaro nel 2018 e abbiamo voluto passare a vedere se era ancora lì e soprattutto se le falafel erano ancora buone. Condite con un ottimo cremisan, vino dei monaci cristiani di Betlemme, sono state una piacevole conferma. 

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