domenica 25 aprile 2004



8 settembre. 25 aprile. Date; non solo. Storia; non basta. Storie; di persone. Storie; di Resistenza.
E' da tempo che mi frulla per la testa questa parola e con essa una domanda: cosa significhi resistere.
Come sempre quando cerco delle risposte al massimo trovo altre domande: Perchè resistere? A cosa resistere? Come resistere? .... Così perdendomi, sono certo di cercare e cercando posso sperare di trovare.
Per fortuna alle elucubrazioni mentali si oppongono sempre gli incontri con le persone. Sono le persone che nella nostra vita ci spronano a muoverci. Così tramite loro, le persone, le parole e i concetti che sembravano poter avere solo un significato ne acquistano altri, e diventano strumenti potenti per reinterpretare la realtà.

La resistenza l'ho sempre subita. Mi ricordo alle elementari quando "la zia Clara", zia di mio padre, veniva a scuola per parlarci del suo 25 aprile, a raccontarci della sua resistenza. In particolare mi ricordo che ci mostrava le ferite per le percosse subite quando fu catturata dai fascisti. Mi ricordo i racconti di mio nonno, padre di mia madre, gerarca fascista, che più di una volta nascose in casa dei partigiani per evitare che fossero fucilati. Per me erano racconti, mi piaceva sentirli, i miei genitori mi ricordano che chiedevo sempre di ripeterli.
Più grande ho subito la retorica della resistenza, il revisionismo sulla resistenza, l'ideologia della resistenza. Svuotata della storia delle persone la resistenza è diventata di un colore solo. Ho capito che non faceva più per me: dovevo resistere alla resistenza.
Alcune volte mi capita di pensare che anche l'arcobaleno della pace stia tristemente sbiadendo in un solo colore.

Nel '99 in Perù incontriamo, io e Chiara, due fra le persone che più hanno condizionato la nostra vita: Jàvier e Yoanna.
Arriviamo ad Abancay dopo un viaggio allucinante durato 2 giorni su pullman guidati da autisti pazzi, che attraversano le cime delle Ande  in condizioni disperate a velocità da brivido. Lasciamo alle nostre spalle Ayacucho, città nella quale Sendero Luminoso ha lasciato più cose da dimenticare che da rimpiangere. Andiamo alla sede di una associazione nella quale ci avevano detto di chiedere di Jàvier e Yoanna. Ci avevano avvertito che sarebbe stato difficile se non impossibile incontrarli, invece caso vuole che li incontriamo, e trascorriamo con loro 2 giorni memorabili. Jàvier e Yoanna sono peruviani e hanno passato 12 anni della loro vita fra le comunità sperdute in cima alle Ande, con un obiettivo solo: dare speranza alle persone, ai campesinos. Jàvier e Yoanna credono che valorizzando la storia di un popolo, rivalutando il passato e facendo credere nelle proprie capacità, dando  dignità e speranza alle persone, si possa realizzare il futuro (in quel periodo c'era la campagna elettorale in Perù e lo slogan di Fujimori, allora presidente poi finito in esilio per corruzione e violenze recitava: "Perù pais con futuro")
Jàvier e Yoanna sono sinceramente innamorati della loro terra, delle loro origini, e hanno deciso di viaggiare per le Ande a raccontare ai campesinos la bellezza di essere discendenti degli Incas. Jàvier e Yoanna non sono l’altro che viene ad aiutare, sono essi stessi diventati strumento ed esempio.
La sera del secondo giorno ci portano a casa loro ad Abancay: 25 mq. Un luogo essenziale: un fornello da campeggio, 2 materassi, un bagno in cortile. Accompagnati da un mate de coca inizia una bellissima conversazione. Jàvier e Yoanna ci fanno capire che per poter sfruttare una persona, l'arma più potente consiste nel convincerla che è giusto che debba venire sfruttata, annientando così, non tanto la capacità di ribellarsi, ma quella di reagire. Infatti si può ribellarsi ad una situazione di oppressione continuando ad essere oppressi, modificando semplicemente gli oppressori o i metodi di oppressione, la storia è piena di ribellioni innutili, di finte rivoluzioni dove si cambia tutto per non cambiare niente.
Jàvier e Yoanna ci raccontano della loro resiliencia, cioè della capacitá umana di affrontare le avversitá della vita, superarle e uscirne rinforzato o, addirittura, trasformato. Da quando ho incontrato Jàvier e Yoanna resistenza per me significa resiliencia.
Ci è voluto tempo, molto tempo, per ritornare sui miei passi. In questi ultimi anni ho letto molti libri sulla resistenza. Non si cresce solo incontrando le persone ma anche facendosi interrogare delle cose: in particolare dai libri. Ho letto di una resistenza che aveva come fattore comune le vite di persone dilaniate tra guerra ed amore, fra rabbia e compassione: ho letto di Milton e Fulvia e della loro "Una questione privata" raccontata da Beppe Fenoglio; di Enne 2 e Berta in "Uomini e no" di Elio Vittorini; di Robert Jordan e Maria in "Per chi suona la campana" di Ernest Hemmingway, ma anche di Davita e suo padre in "L'arpa di Davita" di Chaim Potok, e di molti altri di cui non ho perso memoria e che so essere dentro di me. Ho letto "La messa dell'uomo disarmato" di Luisito Bianchi, uno fra i romanzi più belli che abbia mai letto. Racconta la vita di persone e delle loro scelte nel periodo della resistenza. Mi sono appuntato una recensione che trovo essere perfetta: "La messa dell'uomo disarmato è un romanzo sulla memoria come esperienza viva e intima; un romanzo sulla responsabilità dell’uomo, sulla sua libertà dinanzi a una Parola che, nei fatti, nel tempo, non smette mai di interrogarlo."

Così la vita di mia zia Clara e mio nonno hanno riacquistato una nuova luce. Per loro quel periodo ha significato dover scegliere e dover spendersi senza riserve per le cose scelte. Per loro quel periodo ha voluto dire essere Uomini e Donne. Forse era questo che mi trasmettevano quando mi raccontavano la loro storia ed era per questo che le loro storie mi affascinavano e chiedevo insistentemente di ripeterle.

Nel tentativo di orientare i passi sui sentieri della resiliencia, Jàvier e Yoanna  mi hanno regalato non solo una mappa ma anche una bussola che mi aiuta a capire a cosa resistere. Non sempre riesco a seguirla. Come tutte le bussole puntano sempre a nord, la bussola della resiliencia punta sempre verso l'essenziale. Da ciò che non è essenziale si resiste, nello scegliere ciò che è essenziale si pratica la resiliencia.