lunedì 7 agosto 2023

 


Beirut io non la capisco. 

A ovest c’è rue Hamra, ad est c’è rue Armenia, due mondi. Nel mezzo c’è downtown, il vuoto, simboleggiato da una sorta di gigantesco uovo in cemento devastato dalla guerra civile. 

Non credo mi sia mai successo di essere stato così confuso nell'interpretare una città, trovare i miei posti, un luogo dove prendere un caffè, della baklava. 

Di città belle o brutte ne ho viste tante, Beirut non è nè bella nè brutta. È una città sul mare, ma il mare è come se non ci fosse, pretende di essere moderna ma è anche vecchia, sporca, ha un passato importante ma lo nasconde, cancellato da 15 anni di guerra civile. 

Il primo giorno siamo stati a downtown, così chiamano il quartiere centrale di Beirut, è come girare per una città fantasma. Per entrare occorre superare posti di blocco, per le vie del centro non c’è nessuno, ma proprio nessuno, per rendere l’idea in un posto come via Vittorio Emanuele a Milano o piazza Navona a Roma ci saranno state al massimo 20 persone. Di fianco ad un bel palazzo che scopriremo essere il parlamento ci sono miliari e le guardie del corpo dei parlamentari. Faccio qualche domanda di circostanza a quello che mi sembra essere il capo. Ci chiede da dove veniamo e quando dico Italia sorride. Ci chiede cosa facciamo in Libano e gli spiego che mia figlia studierà a Beirut per un anno, smette di sorridere e mi chiede la ragione, vuole capire cosa possa aver fatto di male per essere finita quaggiù. Così il discorso finisce sul Libano, gli chiedo se è un posto sicuro, mi risponde con un preoccupante “fifty fifty”. Lui deve andare e io rimango lì, un po’ confuso sotto la torre dell’orologio in piazza dell’Etoile di fronte alla chiesa ortodossa di san Giorgio, dietro la chiesa maronita di San Giorgio (San Giorgio spopola qui) e la moschea Mohammad Al Ami. .

Dalla fine della guerra civile, più di trent’anni fa, il Libano è come se vivesse sospeso tra il disperato desiderio di ritornare ad essere la Svizzera del medio oriente e l'incubo di compromettere un equilibrio fragilissimo e ritornare a fare la guerra. Così i libanesi hanno deciso di aspettare e nel frattempo sopravvivere.