“Il fine della politica è
quello di ricercare le modalità con le quali in una comunità e nelle relazioni
che essa ha con le altre sia possibile realizzare la libertà delle persone che
in essa vi agiscono. Libertà che è ricerca e valore in tutti i campi. Questo
fine diventa realizzabile solo se si è in grado di riconoscere che è nel far
partecipare esplicitamente tutti, per una ragione di benessere, di giustizia e
il bene comune che si realizza la presenza infinita dell’umanità nelle singole
persone. “ Aldo Capitini
E’ intorno al valore della
democrazia che si rende necessario, oltre che urgente, spingere le riflessioni
e riprogettare la nostra socialità: la modalità con cui definiamo le regole
della reciproca convivenza.
A me sembra che nella società
occidentale, soprattutto nel secolo scorso, si sono definite due modalità
attraverso le quali le persone possono svolgere un’attività che in qualche modo
si può definire come politica. Dove per attività si intendono delle azioni di
natura intenzionale che hanno come obiettivo il perseguimento di risultati
dichiarati. Esiste la politica che condiziona
e quella che gestisce il potere. Nel
primo caso un esempio importante è quello dei sindacati, mentre nel secondo
caso l’esempio più evidente è quello dei partiti.
Altre modalità con le
quali si può svolgere attività politica non esistono, o meglio, sono un
sotto-prodotto di queste due. Oggi, senz’altro non si svolge alcuna attività
politica nel momento in cui si esprime una preferenza all’interno di una urna
elettorale, in quanto difficilmente si ha la necessaria autorità per
condizionare o gestire il potere.
Ritengo che solo quando
la politica che condiziona si fonde nella politica che gestisce prende forma il
concetto di democrazia. Democrazia intesa come potere al popolo o meglio, alle
persone, ad ogni singola persona. Insomma quella democrazia che sa essere
strumento di libertà.
Tanto più le due
modalità sono disgiunte tanto più risulta incompiuta la democrazia, così come
tanto meno risultano diffuse le pratiche per condizionare e gestire il potere
tanto meno si realizza la democrazia. Per ragioni storiche diverse, ad ovest
come ad est del mondo risultano esaltati questi due aspetti separatamente. Ad
ovest per la scissione fra le due forme di fare politica quasi diventate il dogma
sul quale si sono fondati gli stati “liberali” (la contrapposizione di poteri)
ad est per la verticalizzazione con la quale si sono fusi i due poteri
diventate dogma con il quale si sono condotte le rivoluzioni “socialiste”. Oggi
assistiamo a una interpretazione blanda e incompiuta della democrazia, da una
parte come dall’altra, che chiamiamo “parlamentare”, figlia di quella più
generale che chiamiamo “rappresentativa”.
Il luogo dentro il quale
si fondono la politica che condiziona con quella che gestisce non può essere
una struttura o un organismo (parlamenti, reti di associazioni, ecc...) ma è la
persona, ogni singola persona, unico vero oggetto e soggetto di cambiamento,
fine e mezzo di una proposta che abbia come obiettivo quello di conciliare la
libertà e la socialità. E’ attribuendo poteri alla persona, ad ogni singolo
individuo, che si realizza in qualche modo la democrazia in modo compiuto.
Occorre essere capaci di educare ed educarci a partecipare alle decisioni che
caratterizzano la nostra vita nelle comunità a cui sentiamo di appartenere
(chiese, comuni, quartieri, fabbriche, scuole, ... ) e di pretendere che ogni
persona possa esercitare una forma di potere reale. E’ questo lo scopo di una
rivoluzione culturale e scociale a cui siamo chiamati in questi anni perchè il
germe di una nuova civiltà possa essere seminato.
E' in quest'ottica che
la scuola superiore dei diritti umani risulta essere un potente strumento per
iniziare a riprogettare il modo con il quale stabiliamo le regole