lunedì 9 maggio 2016

Sono in Italia per lavoro alcuni giorni, atterro a Milano e lo incontro.
All'inizio mi sembra un esemplare isolato ma poi mi accorgo che è comune. Un po' come quando in Finlandia vedi la prima renna, ti fermi la fotografi ma dopo un po' non ne puoi più.
Lui ha il capello preciso, riga di fianco e rasato sulle tempie, indossa i jeans con il risvolto, la maglietta scollata per lasciar intravedere il petto, rigorosamente depilato, e i tatuaggi, ha una giacca lucida e un paio di scarpe fighette come se fossero state appena comprate.
Lei indossa un cappello di lana dal quale escono i capelli fonati, un blazer blue, pantaloni di jeans attillatissimi che mettono in risalto le ore passate in palestra a tirarsi come una velina, e tiene al guinzaglio un cane di piccola taglia, povere creature ridotte ad accessori di moda.
Esemplari di questa razza li si incontra anche in altre città, ma a Milano hanno una particolarità, vestono tutti capi di marca.

Lui e lei condividono lo sguardo. Leggermente spento, un po' cinico, pronto al vaffanculo. Lo conosco bene, è lo sguardo tipico di chi deve sopravvivere tutti i giorni al traffico, alla fila per il cappuccino, alla pausa pranzo di 30 minuti, all'aperitivo con gli amici.

Entrambi condividono anche il tono della voce, un po' cantinelante, da ciumbia, orca bestia. Gli argomenti sono sempre quelli, i negozi dove trovare cose di marca a prezzi stracciati, il successo del Mario che adesso va in giro in Porche (perché la BMW ormai ce l'hanno tutti), i locali cool dove farsi un drink. Il milanese sa tutto sulle caratteristiche tecniche degli sci da comprare, dell'ultimo iphone. 

Nel weekend il milanese scappa da una città che lo comprime per infilarsi in code infinite sui laghi, in montagna, nella brughiera, nell'oltre Po pavese. Il milanese è incazzato con tutti e tutto, gli altri sono dei pirla per come guidano, mangiano, vestono, etc.

Molti milanesi sono imbruttiti.
 Di milanesi imbruttiti ce ne sono tanti anche a Lisbona. Quando li riconosco mi avvicino discretamente, senza farmi vedere, per verificare l'intuizione, e confermare la sentenza.

Il milanese imbruttito è post. Post-industriale, post-moderno, post-ricco, post-simpatico. Il milanese è post perché forse era ricco, simpatico, industriale adesso di sicuro non lo è più. Vive sospeso tra ciò che era e ciò che sarà, e siccome non sa cosa sarà s'imbruttisce nella routine di una vita quotidiana che lo schiaccia.
Il milanese si è bevuto tutta la Milano che c'era da bere, e adesso barcolla sotto gli effetti dell'alcol cercando di dimenticare quello che è diventato.

Essere milanese imbruttito non è una questione di geografia, è uno stato d'animo. Il milanese imbruttito ha creduto di meritare di più da questa vita, e di riuscire ad ottenerlo con il successo nel lavoro, per poi doversi accorgere che tutte le ore extra passate in ufficio sarebbero state affogate in un centro commerciale.
Il milanese è vaccinato contro la felicità delle cose semplici, vive in un ecosistema dove i sogni di successo sono alimentati quotidianamente, legge "Monocle", "Intelligent life", "wired".
Quando viene a Lisbona rafforza i suoi anticorpi, confronta Milano con Lisbona e ne esce temporaneamente confortato. A Lisbona per lui sono lenti, si vestono male, non sanno fare i cocktails. Così torna a casa contento di vivere in una città che offre potenzialità di cui lui però lui non riuscirà mai godere.
Da questa imbruttitura solo la zappa lo potrà salvare.
Racconto questo pensiero al Giancarlo, un milanese doc, di quelli dalla polo dal collo rialzato che esce dal maglione della Paul and Shark. Giancarlo è un milanese imbruttito degli anni 90, quindi sa di cosa stiamo parlando. Il Gianca è d'accordo con me, tranne che per la conclusione, per lui neanche la zappa potrà salvare il milanese imbruttito.
Trovo la sentenza del Gianca troppo crudele, forse spietata, ma capisco cosa vuole dire, perche' in fondo a Milano vogliamo bene entrambi.

Lascio Milano per Roma, prendo il freccia rossa (segue ... "La Roma mangiata").