giovedì 20 aprile 2017

 È la mia intervista con la storia, quella con la S maiuscola, quella fatta di persone normali che però ti aiutano a capire come funzionano le cose.
A Shiraz stiamo attraversando un ponte su di un fiume inesistente, prosciugato, per andare a vedere la tomba di Hafez, il poeta che qui è venerato come un santo. 
Fa caldo, sulla strada ci fermiamo per prendere un po' di fresco in un luogo di culto, Imamzadeh-ye Ali Ebn-e Hamze. La porta è aperta e noi entriamo. Ci viene incontro un signore barbuto, ci da il benvenuto e con un raggiante sorriso c'invita ad entrare.
I cortili e la moschea sono pieni di gente che riposa, chiacchera, lavora, i bambini intanto giocano. Mohammad ci spiega che questi tre giorni dell'anno i musulmani li vivono in comunità, volendo anche di notte, pregando e pensando alle cose fatte nell'anno che sta passando, e alle cose che faranno nell'anno che verrà. 
Mohammad ci fa visitare il luogo sacro, iniziamo a parlare. Lui mi è simpatico, io gli sto simpatico e prima che lui mi faccia la domanda tipica che ogni iraniano ci ha fatto (link), gioco d'anticipo, gli chiedo perché secondo lui gli europei hanno un'idea sbagliata degli iraniani. Lo spiazzo, ma lo conquisto, ci invita a prendere il te. Intorno ad una tazza di tè ho modo di fargli tante domande, che mi aiuteranno a capire meglio questo Paese.

Mohammad mi spiega la differenza tra imam, ayatollah ed maraja. Dice essere una chiave per interpretare la società iraniana. Gli imam nella tradizione sciita sono quelli "che stanno di fronte", parlano in pubblico, gli ayatollah sono degli imam a cui viene riconosciuto un prestigio particolare, una sorta di PhD dice lui. I maraja, o gran ayatollah, sono quelli che hanno ricevuto una investitura da un altro maraja e hanno il potere di definire le "leggi" di comportamento perché più di altri si ritiene che sappiano interpretare le sante scritture. L'attuale maraja e'  Ali Khamenei, ruolo conosciuto anche come supremo leader della rivoluzione islamica. Una sorta di Papa gli chiedo, annuisce sorridendo.
Mi spiega lo scisma tra sciiti e sunniti. Loro, gli iraniani, sono sciiti. Ma è la storia di questo Paese che diventa oggetto della nostra chiacchierata. 
Mohammad mi racconta dell'ingerenza politica dell'Inghilterra e degli Stati Uniti nelle politiche dell'Iran negli anni 60' e 70' per sfruttare gli immensi giacimenti petroliferi. Del contradditorio ruolo dello Shah di quel tempo (Mohammad Reza Shah Pahlavi), da un lato un cane al guinzaglio dei Paesi occidentali (come fu definito da Khomeini), e dall'alto un illuminato, capace di portare il progresso in Iran, d'introdurre riforme liberali ed emancipare il ruolo della donna. Mi racconta chi era Khomeini, del suo carisma, dei suoi esili, del suo pensiero, di un radicalismo in primo luogo vissuto su se stesso. Di come nacque e si sviluppò la rivoluzione verde e la creazione della prima repubblica islamica. Mohammad mi spiega che lo Shah non fu in grado di capire che le riforme liberali erano volute da una minoranza che viveva in città come Tehran, la maggioranza che allora viveva in zone rurali non solo non era interessata, ma anzi le interpretò come un oltraggio alle tradizioni.Questo è un pattern per interpretare la storia ad ogni latitudine, il gap tra le zone rurali e le citta', tra montagna e pianura. Mohammad mi dice che non si può capire Khomeini senza capire che lui era un maraja, quindi il collegamento tra religione e politica che qui sono fuse  insieme, interdipendenti (ritorna con quanto raccontatomi dall'amico incontrato ad Esfahan). 
Mohammad mi parla della guerra degli 8 anni tra iracheni e iraniani, dove più di 600.000 giovani morirono, un'intera generazione. Fu il tentativo di riappropriarsi dell'Iran da parte degli occidentali facendo leva su un fanatico dittatore quale era Saddam Hussein (diventato poi avversario degli stessi che fino a qualche anno prima lo avevano appoggiato contro l'Iran). 
Mohammad mi spiega di Kathami e Rafsanjani e del periodo delle riforme, una speranza andata in frantumi a causa dei modesti risultati in termini di benessere raggiunto da un paese dove si muore ancora per fame. Ed infine del periodo populista di Ahmadinejad. Mohammad mi parla del populismo come un male che sta attraversando l'Iran, del pericoloso gioco di alcuni leader che per prendere il potere fanno leva sulla pancia delle persone, senza proporre soluzioni credibili ma solo instillando paura attraverso slogan, per poi fare quello che gli altri avevano fatto prima, cioè niente. 
 Gli chiedo cosa ne pensa dell'ISIS. Non gli sembra vero di poter affermare una netta e chiara distinzione tra il suo l'Islam e quello dell'ISIS. Mi spiega la matrice wahhabita dell'ISIS, e il diabolico piano d'islamizzare il mondo con la violenza da parte di un gruppo di ricchissimi arabi che grazie ai petrodollari hanno modo di armare fanatici senza scrupoli. Mi dice "i wahhabiti pensano che uccidendo 5 sciiti possono guadagnare il paradiso", quindi mi chiede "cosa vuoi che ne pensi?", aggiunge "Salam, la parola che usiamo per salutarci, significa pace, come possono pensare di costruire pace facendo la guerra?". 

Rimarremo a parlare per più di un'ora. Giacomo e Giovanni s'intrattengono a costruire aerei di carta con un gruppo di giapponesi che nel frattempo è entrato a curiosare, mentre Viola e Chiara ascoltano con attenzione. 

Verso la fine della nostra chiacchierata il suo volto si fa scuro. Mi guarda dritto negli occhi e mi dice che purtroppo quello che abbiamo visto finora in Siria non è niente. Si sta preparando un nuovo fronte di guerra. I wahhabiti hanno provato a prendere il controllo totale di un Paese, imporre un califfato, prima in Afghanistan con i talebani e adesso in Siria. Non ci sono riusciti. Il prossimo fronte sarà l'Arabia Saudita e li ci sarà una guerra molto più dura e atroce di quelle viste fino ad ora, perché in gioco ci saranno gli equilibri mondiali. Purtroppo un incompetente e guerrafondaio come Trump, mal consigliato dalla potentissima industria militare, starà al gioco e trascinerà il mondo in un'altra evitabile guerra.

È la Storia raccontata da dentro, da un imam, quella che ho ascoltato e che mi offre un'interpretazione di quello che è stato, e che sta succedendo, in uno dei posti in cui si costruisce, oppure distrugge, il nostro futuro. 
È tempo di salutarci, ci lasciamo le email, la sera stessa lui mi manda questa lettera scritta dall'attuale marja Ali Khamenei.