Ad Hebron non si entra.
Ad Hebron ci sono scontri, è il nostro incontro con la guerra che qui si sta combattendo dal ‘48, da quando l’ONU ha stabilito la nascita dello Stato d'Israele. I palestinesi la chiamano Nakba, la catastrofe.
Dopo gli scontri di Gaza di ieri (30 marzo 2018) dove il numero delle vittime è salito a 21 persone, in Palestina hanno indetto lutto nazionale. Ci si aspetta una reazione violenta da parte dei palestinesi, e in Cisgiordania Hebron è la città dove queste cose accadono.
Noi a Hebron abbiamo provato ad andare, ma arrivati nei pressi del centro inquietanti spari, il fumo nero che si alza sopra i tetti delle case, e il suono di ambulanze ci hanno fatto fare marcia indietro. In Palestina è così, se si ha l'accortezza di tenersi alla larga dai posti caldi, non si corrono rischi, la situazione cambia di ora in ora, e lontano dagli scontri la vita scorre normale.
Hebron è una tappa fondamentale per capire cosa sta succedendo in Palestina.
Ad Hebron ritorneremo dopo essere stati ad At-tuwani.
È una città stremata dalla guerra, divisa in orizzontale e in verticale.
Nel centro ci sono vie dove il piano terra delle case è abitato dai palestinesi mentre il primo piano dai coloni ebrei. Tra i due piani una rete protegge i palestinesi dagli oggetti che vengono gettati dai piani alti, ma non riesce a proteggere dai liquidi come urina e candeggina.
L'anno scorso, quando siamo stati a Berlino, siamo stati a visitare il mitico checkpoint Charlie. Suggestivo per me, ma poco evocativo per i miei figli, che si sono dovuti sorbire il mio pippone storico (link). Ad Hebron di checkpoint ne dovremo attraversare almeno quattro. Rappresenteranno qualcosa che turberà i ragazzi. Il segno tangibile di una guerra, e delle assurdità che ogni giorno i suoi abitanti devono affrontare.
Davide ci accompagnerà al mercato dove una donna di sua conoscenza cerca di resistere alla pressione esercitata dai coloni ebrei, e dall'esercito, vendendo oggetti dell’artigianato palestinese. Saremo garbatamente invitati da ogni commerciante che incontreremo ad acquistare prodotti. Qui il turismo non arriva e loro stanno facendo fatica a vivere. Ci chiedono di raccontare quello che vediamo ad Hebron, di convincere altre persone a venire, ne va della loro sopravvivenza, della sopravvivenza di un popolo.
Mentre ci dirigiamo verso Shuhada Street, l'antico mercato ormai diventato un quartiere fantasma, assistiamo all’insediamento di una famiglia di coloni in una casa abitata in passato da palestinesi. Loro, i coloni, sostengono che prima dei palestinesi questa era la loro terra, la terra promessa dal loro Dio. Ma quale Dio vorrebbe che il suo popolo si appropriasse di una terra con una simile violenza?
Mi inquieta vedere che sulle case un tempo dei palestinesi siano state disegnate stelle di Davide, per rivendicare la nuova proprietà ebrea. Mi ricorda quando lo stesso simbolo veniva usato dai nazisti per deportare i nonni degli ebrei di oggi nei campi di concentramento. Sul muro tra Betlemme e Gerusalemme ho letto: “Did you learn nothing from Warsaw ghetto?”
Ad Hebron ci sono scontri, è il nostro incontro con la guerra che qui si sta combattendo dal ‘48, da quando l’ONU ha stabilito la nascita dello Stato d'Israele. I palestinesi la chiamano Nakba, la catastrofe.
Dopo gli scontri di Gaza di ieri (30 marzo 2018) dove il numero delle vittime è salito a 21 persone, in Palestina hanno indetto lutto nazionale. Ci si aspetta una reazione violenta da parte dei palestinesi, e in Cisgiordania Hebron è la città dove queste cose accadono.
Noi a Hebron abbiamo provato ad andare, ma arrivati nei pressi del centro inquietanti spari, il fumo nero che si alza sopra i tetti delle case, e il suono di ambulanze ci hanno fatto fare marcia indietro. In Palestina è così, se si ha l'accortezza di tenersi alla larga dai posti caldi, non si corrono rischi, la situazione cambia di ora in ora, e lontano dagli scontri la vita scorre normale.
Hebron è una tappa fondamentale per capire cosa sta succedendo in Palestina.
Ad Hebron ritorneremo dopo essere stati ad At-tuwani.
È una città stremata dalla guerra, divisa in orizzontale e in verticale.
Nel centro ci sono vie dove il piano terra delle case è abitato dai palestinesi mentre il primo piano dai coloni ebrei. Tra i due piani una rete protegge i palestinesi dagli oggetti che vengono gettati dai piani alti, ma non riesce a proteggere dai liquidi come urina e candeggina.
L'anno scorso, quando siamo stati a Berlino, siamo stati a visitare il mitico checkpoint Charlie. Suggestivo per me, ma poco evocativo per i miei figli, che si sono dovuti sorbire il mio pippone storico (link). Ad Hebron di checkpoint ne dovremo attraversare almeno quattro. Rappresenteranno qualcosa che turberà i ragazzi. Il segno tangibile di una guerra, e delle assurdità che ogni giorno i suoi abitanti devono affrontare.
Davide ci accompagnerà al mercato dove una donna di sua conoscenza cerca di resistere alla pressione esercitata dai coloni ebrei, e dall'esercito, vendendo oggetti dell’artigianato palestinese. Saremo garbatamente invitati da ogni commerciante che incontreremo ad acquistare prodotti. Qui il turismo non arriva e loro stanno facendo fatica a vivere. Ci chiedono di raccontare quello che vediamo ad Hebron, di convincere altre persone a venire, ne va della loro sopravvivenza, della sopravvivenza di un popolo.
Mentre ci dirigiamo verso Shuhada Street, l'antico mercato ormai diventato un quartiere fantasma, assistiamo all’insediamento di una famiglia di coloni in una casa abitata in passato da palestinesi. Loro, i coloni, sostengono che prima dei palestinesi questa era la loro terra, la terra promessa dal loro Dio. Ma quale Dio vorrebbe che il suo popolo si appropriasse di una terra con una simile violenza?
Mi inquieta vedere che sulle case un tempo dei palestinesi siano state disegnate stelle di Davide, per rivendicare la nuova proprietà ebrea. Mi ricorda quando lo stesso simbolo veniva usato dai nazisti per deportare i nonni degli ebrei di oggi nei campi di concentramento. Sul muro tra Betlemme e Gerusalemme ho letto: “Did you learn nothing from Warsaw ghetto?”