lunedì 25 novembre 2019

Il comandante Calogero è siciliano. Ha i capelli corti, gli occhi azzurri e la pelle del viso incartapecorita dal vento, dal sole, e dal mare.
Calogero non parla, non ha bisogno di spendere parole per farti capire come la pensa, uno sguardo è sufficiente.
A Calogero piace ridere, ma se deve parlare del suo lavoro si fa serio. Di mestiere lui comanda le motovedette della guardia costiera. Le comanda come noi andiamo in bicicletta.
Calogero a Lampedusa non c'è andato per scelta ma per punizione. Lui era assegnato alla capitaneria di Ventotene. Di sera pescava e di giorno ingoiava rospi. A lui non piacevano i traffici loschi dei suoi superiori che per intascarsi qualche centinaia di euro facevano favori ai ricchi, quelli con gli yacht, a danno dei poveri, quelli con i pescherecci. Non era per un senso di giustizia sociale, lo aveva detto chiaro e tondo, l'ultimo dei suoi interessi era quello di salvare il mondo dalla corruzione, a lui interessava solo essere lasciato in pace, forse per un senso di giustizia individuale, tra lui e la sua coscienza.
Nella notte di Natale del 1996 Calogero era di servizio nella capitaneria di Ventotene, a lui toccavano sempre i turni di Natale e Capodanno, era il modo con il quale i suoi superiori si vendicavano della sua coscienza. Quella notte uno yacht di un ricco industriale aveva preteso di ormeggiare dove erano già ormeggiati i pescherecci, e lui aveva negato l'autorizzazione. Non se l'era sentita di svegliare il Nello per chiedergli di spostare il suo peschereccio. Non erano passati 10 minuti dalla chiamata dello yacht che il comandante della capitaneria gli aveva intimato di autorizzare l'ormeggio. Lui non aveva ritenuto necessario rispondere con tante parole, una era bastata: "vaffanculo".
Così Calogero si è trovato un bel foglio di trasferimento sulla scrivania. Un nuovo incarico per "meriti di servizio" nel posto dove nessuno voleva andare: Lampedusa.
Ci vollero ben cinque anni, solo nel 2001 fu chiaro a Calogero che un filo sottilissimo legava il suo trasferimento a Lampedusa con il dramma dei morti in mare nel tentativo di raggiungere l'Italia.
È a Lampedusa che la faccia di Calogero si è incartapecorita, non solo per il sole, il mare e il vento, ma anche per i soccorsi.
Se veniva chiamato un Mayday c'era lui, poi sono venute le motovedette modello 300, quelle gommate, e quindi anche altri comandanti se la sono sentita di sfidare il mare, ma prima a Lampedusa c'era solo lui. Quando nessuno osava sfidare mare grosso lui sequestrava il primo peschereccio ormeggiato in porto e salpava a salvare le persone in pericolo.
Quando fummo più in confidenza gli chiesi come riuscisse a trovare il coraggio di salpare quando in mare quando era agitato. Mi disse di pensare alle persone in difficoltà, "pensa a cosa stanno provando, allora esci”. Mi raccontò che quando era piccolo andava per mare con suo padre a pescare, una notte furono sorpresi da una burrasca “Onde gigantesche e vento ululante. Pensavo che saremmo morti e mi aggrappavo con tutte le forze alle gambe di mio padre che cercava di controllare la barca. La situazione si fece drammatica quando il motore della barca si spense. In quelle condizioni ribaltarsi è un attimo. Tutto si risolse bene, arrivò una barca di amici che ci trasse in salvo”, concluse dopo un breve silenzio “Se hai vissuto quei momenti ti senti in dovere tutta la vita di essere la barca che salva".
Se non era in servizio, Calogero era a Punta Sottile con una canna da pesca, sul suo scoglio, con suo figlio al fianco. Era tutto quello di cui aveva bisogno per stare bene. Lontano da quello scoglio, da suo figlio, per lui c'erano i soccorsi.