domenica 8 febbraio 2004


“Il fine della politica è quello di ricercare le modalità con le quali in una comunità e nelle relazioni che essa ha con le altre sia possibile realizzare la libertà delle persone che in essa vi agiscono. Libertà che è ricerca e valore in tutti i campi. Questo fine diventa realizzabile solo se si è in grado di riconoscere che è nel far partecipare esplicitamente tutti, per una ragione di benessere, di giustizia e il bene comune che si realizza la presenza infinita dell’umanità nelle singole persone. “ Aldo Capitini

E’ intorno al valore della democrazia che si rende necessario, oltre che urgente, spingere le riflessioni e riprogettare la nostra socialità: la modalità con cui definiamo le regole della reciproca convivenza.
A me sembra che nella società occidentale, soprattutto nel secolo scorso, si sono definite due modalità attraverso le quali le persone possono svolgere un’attività che in qualche modo si può definire come politica. Dove per attività si intendono delle azioni di natura intenzionale che hanno come obiettivo il perseguimento di risultati dichiarati. Esiste la politica che condiziona e quella che gestisce il potere. Nel primo caso un esempio importante è quello dei sindacati, mentre nel secondo caso l’esempio più evidente è quello dei partiti.
Altre modalità con le quali si può svolgere attività politica non esistono, o meglio, sono un sotto-prodotto di queste due. Oggi, senz’altro non si svolge alcuna attività politica nel momento in cui si esprime una preferenza all’interno di una urna elettorale, in quanto difficilmente si ha la necessaria autorità per condizionare o gestire il potere.
Ritengo che solo quando la politica che condiziona si fonde nella politica che gestisce prende forma il concetto di democrazia. Democrazia intesa come potere al popolo o meglio, alle persone, ad ogni singola persona. Insomma quella democrazia che sa essere strumento di libertà.
Tanto più le due modalità sono disgiunte tanto più risulta incompiuta la democrazia, così come tanto meno risultano diffuse le pratiche per condizionare e gestire il potere tanto meno si realizza la democrazia. Per ragioni storiche diverse, ad ovest come ad est del mondo risultano esaltati questi due aspetti separatamente. Ad ovest per la scissione fra le due forme di fare politica quasi diventate il dogma sul quale si sono fondati gli stati “liberali” (la contrapposizione di poteri) ad est per la verticalizzazione con la quale si sono fusi i due poteri diventate dogma con il quale si sono condotte le rivoluzioni “socialiste”. Oggi assistiamo a una interpretazione blanda e incompiuta della democrazia, da una parte come dall’altra, che chiamiamo “parlamentare”, figlia di quella più generale che chiamiamo “rappresentativa”.
Il luogo dentro il quale si fondono la politica che condiziona con quella che gestisce non può essere una struttura o un organismo (parlamenti, reti di associazioni, ecc...) ma è la persona, ogni singola persona, unico vero oggetto e soggetto di cambiamento, fine e mezzo di una proposta che abbia come obiettivo quello di conciliare la libertà e la socialità. E’ attribuendo poteri alla persona, ad ogni singolo individuo, che si realizza in qualche modo la democrazia in modo compiuto. Occorre essere capaci di educare ed educarci a partecipare alle decisioni che caratterizzano la nostra vita nelle comunità a cui sentiamo di appartenere (chiese, comuni, quartieri, fabbriche, scuole, ... ) e di pretendere che ogni persona possa esercitare una forma di potere reale. E’ questo lo scopo di una rivoluzione culturale e scociale a cui siamo chiamati in questi anni perchè il germe di una nuova civiltà possa essere seminato.
E' in quest'ottica che la scuola superiore dei diritti umani risulta essere un potente strumento per iniziare a riprogettare il modo con il quale stabiliamo le regole